Segnali positivi dal mercato del lavoro. Le prospettive dell’apprendistato nel podcast della Fondazione Tarantelli

L’analisi dei dati pubblicati ieri dall’Istat evidenzia che a maggio 2025 si consolida l’occupazione, che segna un aumento del +0,3%, pari a +80mila unità. Su base annua, l’occupazione cresce rispetto a maggio 2024 (+408mila occupati), come sintesi dell’aumento dei dipendenti permanenti (+388mila) e degli autonomi (+175mila) e del calo dei dipendenti a termine (-155mila).

Si confermano, quindi, i segnali di vitalità del mercato del lavoro. Tuttavia, le imprese faticano a reperire personale qualificato, un fenomeno che a giugno 2025 riguarda 45,4% delle assunzioni programmate. A ciò si aggiunge il diffuso labour hoarding, con le aziende della manifattura che trattengono i lavoratori anche in presenza di cali di attività, per timore di non riuscire a sostituirli in futuro. La scarsità di competenze tecniche e digitali accentua ulteriormente il mismatch, come esaminato nel Rapporto dell’Ufficio Studi di Confartigianato per la IV Giornata della Cultura Artigiana.

In un mercato del lavoro dinamico l’apprendistato rappresenta un canale di ingresso privilegiato per i giovani, in modo particolare nell’artigianato. Le prospettive dell’apprendistato in Italia sono delineate nella conversazione con Matteo Colombo Presidente Fondazione ADAPT e Silvia Ciuffini Responsabile Bilateralità e Formazione Professionale di Confartigianato contenuta nel podcast ‘Mercati del lavoro: Apprendistato un destino ancora da scrivere? Qui per ascoltarlo. Il podcast è realizzato per ‘Progetto’, la rivista di cultura del lavoro della Fondazione Ezio Tarantelli.

Confartigianato considera il contratto di apprendistato cruciale per affrontare la questione del disallineamento tra competenze richieste dalle imprese e quelle possedute dai giovani in cerca di occupazione. Per questo, andrebbe potenziato e sostenuto con determinazione l’apprendistato professionalizzante che è la tipologia più utilizzata in virtù di un contesto normativo e di una disciplina contrattuale collettiva consolidata. L’apprendistato professionalizzante consente ai giovani di crescere e formarsi in un contesto lavorativo, con un contratto di lavoro che assicura formazione vera, anche attraverso il trasferimento di competenze dell’imprenditore artigiano, garantendo una retribuzione e tutte le tutele contrattuali, comprese le tutele integrative del welfare bilaterale che nell’artigianato riguardano tra l’altro la formazione continua, gli ammortizzatori e la sanità integrativa.

Alcune evidenze sull’apprendistato nelle imprese artigiane - Nel 2023 i dati di fonte Inps contano 121.477 apprendisti nelle imprese artigiane con dipendenti che rappresentano un quinto (20,6%) del totale apprendisti pari a 590.479 unità. Quote di apprendisti nell’artigianato superiori ad un quarto si rilevano per le Marche con il 32,9%, il Trentino-Alto Adige con il 27,9%, l’Umbria con il 27,4% e la Toscana con il 27,2%.

I dati relativi alle imprese con dipendenti non agricole di fonte Unioncamere e Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali mostrano che l’artigianato concentra il 17,8% delle assunzioni di apprendisti previste per il 2024. Risultano difficili da reperire il 67,4% degli apprendisti richiesti dall’artigianato, quota che supera nettamente il 54,6% rilevato per il totale imprese. Per quanto riguarda la motivazione di tale difficoltà, il 41,9% degli apprendisti richiesti dall’artigianato è difficile da assumere perché scarseggiano i candidati, quota pari in media al 34,3% mentre l’inadeguatezza dei canditati riguarda il 18,1% delle assunzioni di apprendisti in imprese artigiane a fronte della media di 15,3%.

L’artigianato mostra un maggior ricorso all’apprendistato che rappresenta il 10,9% delle proprie assunzioni previste a fronte di una media del 6,1%.

I dati sulla struttura occupazionale del totale delle imprese attive non agricole per il 2023 permettono di evidenziare alcuni caratteri degli apprendisti. Sono il 4,1% delle posizioni lavorative dipendenti e la quota è pari al 20,2% tra i dipendenti under 30 (quota massima tra le classi di età), al 3,4% tra quelli stranieri e al 4,4% tra quelli laureati. L’analisi per genere evidenzia che il 59,1% degli apprendisti sono maschi e il 40,9% sono donne, il 4,2% delle dipendenti donne.

 
Peso degli apprendisti delle imprese artigiane per regione
Anno 2023, incidenza percentuale - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Inps


Luci e ombre dell’estate 2025 del 34° report Confartigianato nell’analisi su IlSussidiario.net

Si avvicina la deadline del 9 luglio per la trattativa sui dazi, mentre la guerra dei 12 giorni che ha coinvolto Israele, Stati Uniti e Iran ha generato volatilità nelle quotazioni delle commodities energetiche e accentuato il clima di incertezza sullo scenario internazionale. I paesi interessati da conflitti rappresentano il dieci per cento del made in Italy e oltre il quaranta per cento dell’import di energia. L’aumento della spesa per la difesa, imposto dalla nuova strategia Nato, rischia di comprimere gli investimenti pubblici, indebolendo gli interventi anticiclici di politica fiscale. Le difficili relazioni euroatlantiche delineano rischi rilevanti sull’economia europea, il cui impatto sarà definito dal punto di caduta del negoziato sui dazi.

L’approfondimento degli effetti sulle imprese della complessa situazione internazionale è contenuto nel 34° report su trend economia, congiuntura e MPI ‘Luci e ombre dell’economia italiana nell’estate 2025’ - qui per scaricarlo - presentato oggi in un webinar con un ampio focus territoriale su lavoro, turismo, export, digitalizzazione e green, demografia di impresa e credito presentato da Licia Redolfi dell’Osservatorio MPI Confartigianato Lombardia, Monica Salvioli dell’Osservatorio MPI Confartigianato Emilia-Romagna, Carlotta Andracco dell’Ufficio Studi Confartigianato Vicenza e Silvia Cellini dell’Ufficio Studi di Confartigianato.

Una anticipazione del 34° report è proposta nell’articolo I NUMERI DELL’ITALIA/ Dalle guerre al riarmo, ecco cosa rischiano le nostre imprese a firma di Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio Studi di Confartigianato, pubblicato oggi su IlSussidiario.net.

Il turbolento quadro internazionale si riverbera su un calo della fiducia delle imprese manifatturiere  europee, un indicatore in flessione dopo l’annuncio di aprile dei dazi da parte della Presidenza degli Stati Uniti. In Italia l’incertezza pesa anche sui consumatori e la spesa delle famiglie italiane, prevista in aumento dell’1,0% per quest’anno, nel primo trimestre 2025 ferma la crescita al +0,6%, mentre nei primi quattro mesi del 2025 le vendite al dettaglio segnano una flessione dell’1,2% su base annua, in peggioramento rispetto al ristagno (-0,4%) registrato nel 2024.

L’acuirsi della crisi in Medio Oriente con la guerra dei 12 giorni e gli scontri tra India e Pakistan di maggio hanno esteso le aree del mondo interessate da conflitti, composte dai paesi del Medio Oriente, con alcuni paesi limitrofi su cui si possono riverberare gli effetti della crisi mediorientale quali Egitto, Libia e Turchia, dai paesi coinvolti nella guerra russo-ucraina, a cui si aggiungono India e Pakistan. Nel complesso di questi venticinque mercati nel 2025 (ultimi dodici mesi a marzo) il made in Italy vale 61,4 miliardi di euro, pari al 9,8% dell’export totale e il 19,9% delle esportazioni nei paesi extra Ue.

Una crescente instabilità geopolitica potrebbe compromettere la ripresa dell’export (+2,5% nel primo quadrimestre del 2025) già messa a rischio nel caso di esito negativo dei negoziati sui dazi, rallentando il tentativo di recupero della manifattura.

Inoltre, l’Italia presenta una elevata dipendenza energetica dalle aree maggiormente interessate dai conflitti, con un import di petrolio e gas naturale da diciassette dei venticinque paesi in esame che nel 2025 ammonta a 27,6 miliardi di euro, che rappresenta il 40,7% degli acquisti di energia dall’estero. Si tratta di una dipendenza elevata, ma in discesa (era del 64,0% nel 2021) a seguito del taglio delle forniture di gas e petrolio russo.

Le nubi sullo stretto di Hormuz – Nel corso della guerra dei 12 giorni si è delineata la possibilità di una interruzione dello stretto di Hormuz, un collo di bottiglia strategico attraverso cui, secondo i dati Eia, transita un quarto del commercio mondiale di petrolio via mare e un quinto di quello di gas naturale liquefatto (GNL). L’interruzione delle forniture penalizzerebbe maggiormente le economie manifatturiere dell’Asia. Dai paesi che si affacciano sul Golfo Persico, attraverso lo stretto di Hormuz, l’82,1% dell’export di petrolio e il 78,1% del GNL è diretto in Asia e solo l’11,5% del petrolio e il 16,5% del GNL è diretto in Europa.

Per l’Italia, il passaggio per lo stretto di Hormuz interessa importazioni di energia per 9,6 miliardi di euro, pari al 14,2% del totale, di cui 3,9 miliardi di petrolio raffinato a cui si sommano 3,3 miliardi di euro di petrolio greggio e 2,5 miliardi di euro di GNL provenienti dal Qatar.

L’Unione europea ha varato un piano per il riarmo e la Nato nel summit concluso mercoledì scorso ha rialzato il target della spesa per la difesa al 5% del PIL. Per l’Italia il sentiero di manovra della politica fiscale è molto stretto. Come indicato nelle ultime Raccomandazioni della Commissione europea il potenziamento della spesa in materia di difesa va eseguito nel rispetto dei tassi massimi di crescita della spesa netta, al fine di porre fine alla situazione di disavanzo eccessivo. L’Italia si è impegnata per un tasso di crescita media annua della spesa primaria netta pari all’1,5% nel periodo 2025-31.

L’aumento della spesa per la difesa in Italia aumenta i rischi di sostenibilità del debito mentre l’effetto moltiplicativo è ridotto da una eccessiva quota di armamenti importati e da una elevata spesa per il personale militare e civile.

Una crescente spesa per la difesa, quindi, va finanziata con tagli su altre uscite o con maggiori entrate. Tenuto conto dei capitoli di spesa pubblica più rigida – quelle per interessi, personale pubblico, pensioni, salute e ora anche la difesa - il vincolo alla crescita della spesa potrebbe spiazzare gli investimenti pubblici e mettere a rischio il finanziamento di interventi a favore delle attività economiche e per la tutela del territorio. Per gli interventi di spending review è aggredibile un perimetro di spesa che ammonta a 378,9 miliardi di euro, il 33,1% della spesa pubblica italiana, di cui 54,8 miliardi per investimenti pari all’81,5% di questa voce di spesa. Un calo degli investimenti avrà effetti più pesanti dal 2027, al termine del sostegno dato dal PNRR. Più della metà della spesa esposta a tagli si concentra sulle politiche industriali, sugli interventi anticiclici e su quelli per le abitazioni e l'assetto del territorio, quest’ultimo un capitolo strategico per prevenire gli effetti del cambiamento climatico.

La crisi delle relazioni euroatlantiche su commercio e difesa ha un profilo rilevante per l’economia europea. Se consideriamo la revisione al ribasso delle previsioni della Commissione europea sulle esportazioni dopo l’annuncio della guerra dei dazi e la maggiore spesa per la difesa necessaria per rispettare i nuovi target Nato e per compensare la riduzione del sostegno all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, per i paesi dell’Ue entrano in gioco risorse per 387 miliardi di euro all’anno, pari al 2,2% del PIL europeo. Un punto di caduta nella negoziazione sui dazi prevista per il 9 luglio – su cui la Casa Bianca ha comunicato alla Commissione europea una possibile proroga – che definisca una tariffa reciproca del 10% potrebbe contenere i danni sull’economia europea e italiana. Un dazio di questa entità, secondo la valutazione del MIMIT, avrebbe un impatto del 6,5% sull’export del made in Italy negli Stati Uniti.

Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea, Energy Institute, Eurostat, Kiel Institute, Istat, MEF e MIMIT