La cultura del cibo il filo conduttore della nuova edizione di Spirito Artigiano. che in apertura ospita le riflessioni del Professor Giulio Sapelli e del Professor Mauro Magatti sull’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna. Leggere di più
La cultura del cibo il filo conduttore della nuova edizione di Spirito Artigiano. che in apertura ospita le riflessioni del Professor Giulio Sapelli e del Professor Mauro Magatti sull’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna. Leggere di più
Si è svolto il 24 maggio a Roma un incontro tra il Presidente dell’Anci Antonio Decaro e il Presidente di Confartigianato Marco Granelli. Nel corso del confronto, il Presidente Granelli ha espresso al Presidente Decaro l’auspicio di avviare un’alleanza con i Comuni Leggere di più
Confartigianato, Cna e Casartigiani apprezzano l’intento del Governo di voler dare attuazione al Titolo V della Costituzione, a più di 20 anni dalla modifica costituzionale che ha introdotto il regionalismo differenziato.Leggere di più
Nel 2022 la preoccupazione dei cittadini per i cambiamenti climatici è tornata a salire, dopo il calo del periodo pandemico che aveva interrotto il trend in aumento osservato fino al 2019. A fronte di una media nazionale del 71%, la preoccupazione è maggiore in Veneto, interessando il 75,9% della popolazione, in Toscana con 73,4% e nelle Marche con 72,8%.
Gli effetti drammatici dell’alluvione in Emilia Romagna confermano l’elevato e crescente impatto degli eventi climatici estremi sulla vita delle comunità, sulle risorse del territorio e sull’evoluzione dei sistemi economici locali. Secondo il Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (BES) dell’Istat l’Emilia-Romagna è la regione con la maggior quota di popolazione esposta al rischio di alluvioni di media entità, ben il 62,5% a fronte di una media nazionale dell’11,5%, e di gran lunga maggiore rispetto alle altri territori: si registrano valori superiori alla media in Provincia Autonoma di Trento con 25,9%, Toscana con 25,5%, Liguria con 17,4%, Calabria con 12,8% e Veneto con 11,7%.
Il cambio di paradigma: prevenzione con più investimenti per l’ambiente – Per affrontare le pesanti conseguenze del cambiamento climatico è necessario un cambio di paradigma dell’intervento pubblico, che deve rafforzare la spesa per investimenti finalizzati alla salvaguardia del territorio. In parallelo servono incentivi per gli investimenti privati e una maggiore diffusione delle coperture assicurative. Gli investimenti rappresentano il presupposto della prevenzione per mettere in sicurezza persone e attività economiche, come evidenziato nel recente intervento di Confartigianato.
L’Italia ha registrato un lungo periodo di assottigliamento degli investimenti pubblici, che dal 3,7% del PIL del 2009 sono caduti al 2,1% nel 2018. Il successivo recupero si è interrotto nel 2022, anno in cui gli investimenti pubblici sono calati dell’1,1%, scendendo al 2,7% del PIL (era il 2,9% nel 2021). Gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dovrebbero guidare, fino al 2026, un nuovo ciclo di ripresa dei processi di accumulazione di capitale pubblico.
Nel corso dell’ultimo decennio si è registrato un forte calo anche degli investimenti pubblici per l’ambiente. L’analisi dei dati dei conti pubblici territoriali elaborati dalla Agenzia per la Coesione Territoriale evidenzia che la spesa in conto capitale per l’ambiente delle Amministrazioni pubbliche centrali e locali – che comprende gli interventi per l’assetto idrogeologico e la conservazione del suolo, per la protezione dei beni paesaggistici, a sostegno delle attività forestali e la gestione di parchi naturali – nel 2020 risulta pari a 2.088 milioni di euro, pari allo 0,13% del PIL, in salita rispetto al minimo storico del 2018 (0,08% PIL), ma quasi dimezzato rispetto allo 0,21% del PIL del 2007.
Tra il 2000 e il 2007 la spesa in conto capitale per l’ambiente è stata pari allo 0,20% del PIL; sulla base della curva registrata nei tredici anni successivi si calcola un accumulo di minori investimenti per 42.717 milioni di euro, pari a 3.286 milioni di euro in meno per ciascun anno.
Una analisi dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Emilia Romagna ha evidenziato che la spesa in conto capitale per l’ambiente delle Amministrazioni pubbliche centrali e locali nel decennio 2010-2020 in Emilia Romagna è scesa del 41% rispetto alla media 2001-2010, con una maggiore accentuazione rispetto al calo del 37,4% della media nazionale.
La caduta degli investimenti pubblici per l’ambiente si è determinata in un contesto caratterizzato da una politica di bilancio che, tra il 2007 e il 2018, con la successione di sette differenti Governi, ha accumulato un avanzo primario di 240,7 miliardi di euro, equivalente all’1,3% del PIL medio all’anno, per creare il quale sono stati realizzati i tagli alle spesa in conto capitale.
L’analisi dell’Ufficio Studi questa settimana in ‘Imprese ed energia’ su QE-Quotidiano Energia.
2000-2020, spesa della PA in % del PIL – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Agenzia per la Coesione Territoriale
Elaborazione 2021 su dati da censimento 2011. % su totale (decrescente) e val. assoluti – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Ispra
In questi giorni, Confartigianato ha testimoniato sui media nazionali (Sky Tg24, Tg1, Corriere della sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Radio Rai) la situazione degli artigiani e delle piccole imprese dell’Emilia Romagna colpiti dall’alluvione. Leggere di più
Il Presidente di Confartigianato Marco Granelli e il Presidente di Cna Dario Costantini, in una lettera inviata al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ai Ministri Tajani, Salvini, Piantedosi, Giorgetti, Urso, Pichetto Fratin, Calderone, Santanchè, Zangrillo, Fitto e Alberti Casellati, condividono e sostengono pienamente intenti e finalità Leggere di più
Confartigianato è protagonista di ‘Lavoro Futuro’, lo spazio di Tgcom24, il canale televisivo all news di Mediaset, dedicato all’artigianato e alle piccole imprese. Oggi, il Presidente di Confartigianato Marco Granelli è intervenuto alla prima puntata di questo ‘viaggio’ alla scoperta dell’eccellenza espressa dall’artigianato italiano e delle opportunità che può offrire ai giovani.Leggere di più
Verona ha ospitato la terza tappa dei “Dialoghi di Spirito Artigiano”, il percorso di approfondimento promosso dalla piattaforma digitale della Fondazione Manlio Germozzi e dedicato ai temi dell’attualità economica di interesse e con protagonisti gli artigiani e le piccole imprese. L’evento scaligero, organizzato da Confartigianato, in collaborazione con Confartigianato Imprese Veneto e Confartigianato Verona, con il patrocinio dell’Università di Verona, Dipartimento di Management, IVL Istituto Veneto per il Lavoro e Fondazione Germozzi – si è tenuta al Silos di Pontente del Polo Santa Marta, che ha ospitato la presentazione del quaderno edito dalla Fondazione Germozzi sul tema della crisi demografica, scritto da Alessandro Rosina.
Davanti ad una nutrita platea di oltre 250 persone, dopo l’introduzione e i saluti del Direttore di Confartigianato Verona, Valeria Bosco, e di Roberto Iraci Sareri, in qualità di Vicepresidente regionale e presidente provinciale di Confartigianato, a confrontarsi con l’autore, sono stati il Presidente della Fondazione Germozzi Giulio Sapelli, Mauro Magatti, Professore ordinario di Sociologia alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Massimiliano Valerii, Direttore generale del Censis. Il Presidente di Confartigianato Imprese, Marco Granelli, invece, ha inviato un videomessaggio, perché trattenuto in Emilia Romagna per portare sostegno e solidarietà alle popolazioni e alle imprese colpite dall’alluvione. L’incontro è stato moderato da Federico Testa, Professore ordinario di Economia e Gestione delle imprese all’Università di Verona.
“Il nostro Paese invecchia e al contempo si dimostra in difficoltà in termini di attrattività e nel trattenere i giovani – ha introdotto il Presidente di Confartigianato Imprese Verona, Roberto Iraci Sareri – Negli ultimi dieci anni, la popolazione italiana è diminuita di un milione e mezzo di abitanti. A fronte di 700mila morti nel 2022, si sono infatti registrate solo 339mila nascite”. A delineare la situazione, la pubblicazione “La crisi demografica italiana: giovani e qualità del lavoro”, scritto per la Fondazione Germozzi da Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale alla facoltà di Economia della Cattolica. “I numeri non mentono – le parole di Rosina – le culle restano vuote e ciò significa, in futuro, meno lavoratori mentre aumentano gli anziani e quindi la spesa per pensioni e per cura ed assistenza. Ma invertire la tendenza è possibile, prendendo ad esempio la Germani, che quindici anni fa era in condizioni addirittura peggiori rispetto all’Italia. Ma negli ultimi dieci anni i tedeschi hanno progressivamente invertito la tendenza, intervenendo su nuove politiche familiari ed immigrazione. Sono stati introdotti incentivi dedicati al lavoro e ai giovani, sono migliorate le politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e assieme ad altri provvedimenti tutto ciò ha contribuito a rallentare il declino della popolazione. Il quadro italiano, invece, è totalmente diverso, se è vero che la prospettiva è di ritrovarci, nel 2050, con un rapporto di ‘uno a uno’ tra lavoratori e pensionati, con una vera e propria implosione del debito pubblico”.
Per scongiurare tale crisi bisogna agire subito, facendo leva su più leve contemporaneamente: utilizzare meglio la forza lavoro, consentendo, ad esempio, a chi desidera continuare a lavorare di poterlo fare, dignitosamente. Tra gli altri interventi, inoltre, c’è anche il miglioramento e potenziamento degli strumenti legati al lavoro femminile.
“In Svezia – ha spiegato Rosina – il gap di genere praticamente non esiste. A livello europeo, l’11% delle donne non lavora, mentre in Italia si arriva ad un 20% che non trova collocazione. Purtroppo – ha continuato – nel nostro Paese manca una visione integrata di sistema che colleghi l’occupazione femminile, ai servizi per l’infanzia, ai congedi, alle politiche di conciliazione. Incentivare il lavoro femminile significa in automatico incrementare la natalità”.
“Non solo la qualità del lavoro è determinante per invertire la tendenza – ha proseguito il professor Sapelli – ma anche la qualità della popolazione. Va ricordato che mettere su famiglia non è una questione legata solo ad un fattore economico: si fanno figli se si ha speranza nel futuro. Dobbiamo avviare un processo di revisione della cultura e della formazione scolastica, infondendo nei giovani il desiderio di crescere, di essere autonomi, di imparare, passando attraverso la ‘cultura del sacrificio, che ormai pare essersi affievolita nei nostri ragazzi”.
“Un detto africano recita così: ‘per crescere un bambino ci vuole un villaggio’ – le parole del professor Magatti – Ciò significa che quella di fare figli e farli diventare grandi non è solo una questione che riguardi in via esclusiva il nucleo familiare, i genitori, l’individuo, ma coinvolge le comunità, la società, le istituzioni e la politica. Da noi, queste ultime, non riescono a gestire le complessità, governate come sono anche da una componente ideologica che ci impedisce di guardare oltre. Gestiamo continuamente le mergenze e non investiamo sul futuro, che significa anche investire nella crescita della popolazione alla quale affidarlo”.
In Italia il numero medio di figli per donna è di 1,27, in Veneto appena superiore e pari ad 1,28 a Verona di 1,35, mentre la media Ue è di 1,5. “Aggiungiamo che il nostro Paese – ha spiegato Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis – ha le percentuali più elevate di Neet, ossia giovani che non studiano e non lavorano, che sono 3 milioni tra i 18 ed i 34 anni. Dobbiamo evidenziare come la crisi demografica stia influenzando la condizione attuale dei giovani italiani. Negli ultimi vent’anni, il numero di giovani di età inferiore ai 34 anni è diminuito di 4,7 milioni di unità. Nel 2021, il tasso di occupazione dei lavoratori 15-34enni in Italia è del 41,0% (media UE: 56,5%). Inoltre, il reddito medio lordo di un giovane di 18-24 anni in Italia (17.810 euro) è inferiore di 836 euro rispetto a quello di un coetaneo in Francia e circa 6.600 euro in confronto a quello di un ragazzo tedesco. Ciò nonostante, l’attuale generazione di giovani italiani è la più istruita che sia mai esistita, con il 28,3% dei 25-34enni laureati”.
La conclusione dell’appuntamento, affidata al Vicepresidente regionale e Presidente provinciale di Confartigianato, Iraci Sareri, apre al confronto con l’obiettivo di individuare soluzioni. “Come artigiani e piccoli imprenditori, come rappresentanti di questo grande sistema economico diffuso – ha affermato – sentiamo la responsabilità di affrontare anche queste tematiche che ci toccano e ci toccheranno sempre più da vicino. Demografia, forza lavoro, giovani, formazione, sono argomenti che svilupperemo, perché, proprio a proposito dei giovani, se vogliamo essere per loro attrattivi dobbiamo imparare ad ascoltarli di più. Noi ci siamo, Confartigianato c’è, ma anche le istituzioni e la politica sono chiamate a riflessioni serie, al nostro fianco, per fare tutti la nostra parte. C’è in ballo il futuro del nostro Paese”.
L’Italia fa meglio dell’Eurozona per crescita del PIL e dinamica degli investimenti ma la stretta monetaria in corso, gli scarsi spazi fiscali, i vincoli che si delineano con le nuove regole Ue sulla governance fiscale, l’eccessiva burocrazia e i ritardi che pesano sull’attuazione degli interventi del PNRR mettono a rischio la ripresa. L’analisi dei freni alla ripresa è proposta nell’articolo I numeri dell’Italia-Ue e Bce aggiungono zavorre alla nostra ripresa, a firma di Enrico Quintavalle, pubblicato oggi su IlSussidiario.net.
L’analisi delle previsioni di primavera della Commissione europea confermano anche per quest’anno una crescita del PIL superiore ai maggiori partner europei. L’aumento del PIL dell’1,2% in Italia supera il +0,7% della Francia e il +0,2% della Germania. Rispetto al livello pre pandemia del 2019 l’Italia segna un recupero del 2,2% e facendo meglio, anche in questo arco di tempo, di Francia (+1,8%) e Germania (+0,8%).
Gli investimenti nel 2022 sono saliti del 9,4% a fronte del +3,7% medio dell’Eurozona, mentre nel 2023 salgono del 2,6%, anche in questo caso più del doppio della media europea (+1,0%).
Nonostante il clima di incertezza causato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, a marzo 2023 l’occupazione risulta salita di 297mila unità su base annua, grazie all’incremento di 367mila occupati dipendenti stabili.
Questi risultati sono stati raggiunti malgrado una maggiore pressione dei prezzi dell’energia: nella seconda metà del 2022 le micro e piccole imprese italiane pagano un prezzo dell’energia elettrica superiore del 60,0% alla media dell’Eurozona, mentre il divario per il prezzo del gas è del 47,8%.
Il gap di competitività derivante dalla divaricazione dei prezzi dell’energia sta frenando la manifattura, settore che prima dell’esplosione della crisi energetica era risultato più dinamico rispetto agli altri maggiori paesi europei. Nel primo trimestre del 2023 la produzione manifatturiera in Italia scende dello 0,2% su base annua, mentre sale del 2,1% in Spagna, dell’1,7% in Germania e dello 0,7% in Francia, con un aumento medio dell’1,5% nell’Ue a 27.
Questo dinamismo dell’economia italiana è messo a rischio dall’allineamento di una stretta monetaria, di una spesa pubblica elevata e poco efficiente e di un mix di elevata pressione fiscale ed eccessiva burocrazia che grava sulle imprese e rallenta l’attuazione del PNRR. I freni delle politiche pubbliche potrebbero compromettere la propensione ad investire e la domanda di lavoro delle imprese. Servono interventi fiscali a sostegno degli investimenti che, oltre a garantire una maggiore effetto moltiplicativo sul PIL, accompagnino la transizione digitale e green di imprese e famiglie. Un esempio: la direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici nell’arco di un decennio richiederà interventi sul 75,8% delle abitazioni degli italiani per migliorare la classe energetica e rientrare entro il 2033 nella classe D definita dalla normativa europea.
Alcune evidenze statistiche ben delineano le zavorre che oggi frenano l’attività delle imprese.
La stretta monetaria è vigorosa e potrebbe durare a lungo: a fine 2023 l’inflazione dell’Eurozona è prevista al 2,6% e a fine 2024 al 2,3%, un lento avvicinamento al target della Bce del 2%. A marzo 2023 i tassi sui prestiti alle imprese fino a 250mila euro sono arrivati al 4,90%, con un aumento di 275 punti base in un anno. L’aumento del costo del credito riduce la propensione ad investire e dilata la spesa pubblica per interessi, che nel 2023 risulta pari al 4,0% del PIL, la più alta in Europa. Il maggiore costo del denaro frena la domanda di credito: a marzo i prestiti alle imprese segnano un calo dell’1,0%, peggiorando il –0,5% del mese precedente.
Gli interventi per contrastare la pandemia e la crisi energetica, insieme al caro tassi, hanno fatto salire la spesa pubblica a 1.075 miliardi di euro, il 52% del PIL, portando l’Italia dal 7° posto tra i 27 paesi dell’Unione del 2019 al 4° posto del 2023.
Per finanziare questo elevato livello di spesa sull’economia grava una pressione fiscale eccessiva: sempre secondo i dati pubblicati lo scorso 15 maggio dalla Commissione europea, nel 2023 l’Italia registra un carico fiscale (tax burden) pari al 42,7% del PIL che, nonostante la discesa di un punto rispetto al 2022, regista uno spread di 1,2 punti di PIL con la media dell’Eurozona: si tratta di maggiore tassazione per cittadini ed imprese di 24,6 miliardi di euro.
Nonostante l’alta spesa, la qualità dei servizi della Pubblica amministrazione mostra delle criticità: secondo la rilevazione di Eurobarometro il 61% dei cittadini italiani non ritiene buona l’offerta dei servizi pubblici, diciassette punti in più del 44% della media europea, collocando l’Italia al 24° posto per qualità dei servizi pubblici.
Sull’inadeguata qualità dell’offerta dei servizi pubblici pesa una eccessiva burocrazia, rispetto alla quale sono strategiche le politiche di semplificazione. Secondo l’indicatore di pressione burocratica sulle imprese elaborato da Confartigianato – che sintetizza il grado di esposizione delle imprese alla complessità delle procedure amministrative, alla legislazione e politiche in continuo cambiamento, al peso aliquote fiscali e alle normative restrittive in materia di lavoro – l’Italia si colloca al 1° posto tra i 27 paesi Ue, davanti a Grecia, Francia e Romania.
La sproporzione degli adempimenti amministrativi grava sui tempi di realizzazione delle opere pubbliche, per il 54,3% rappresentati da tempi di attraversamento tra le diverse fasi (progettazione, affidamento, esecuzione lavori). Il divario digitale amplifica gli effetti negativi della burocrazia: per intensità della relazione digitale con la PA l’Italia si colloca al 25° posto in Ue a 27.
Una scarsa efficienza della macchina burocratica rallenta la realizzazione degli interventi del PNRR e contribuisce a depotenziarne gli effetti macroeconomici: nel 2023 la maggiore crescita indotta dal Piano si ferma ad 1 punto di PIL, a fronte dell’1,9 previsto due anni fa.
Il mantenimento del rapporto debito/PIL su un sentiero discendente richiede una severa politica fiscale, con l’indebitamento netto che nel 2026 è previsto scendere al di sotto del limite del 3% previsto dai trattati europei. Una prolungata stretta monetaria, sincronizzata con una politica di bilancio restrittiva, potrebbe rallentare pericolosamente l’economia, riducendo la sostenibilità del debito. La regola sulla spesa prevista dalla riforma del Patto di stabilità e crescita proposta dalla Commissione europea – il Patto tornerà in vigore dal 2024 – potrebbe frenare gli investimenti. Le istituzioni europee e nazionali, attori delle politiche economiche, hanno la grande responsabilità, in questa fase delicata, di adottare interventi equilibrati, capaci di accompagnare una crescita sostenibile e di valorizzare la straordinaria tenuta delle imprese italiane.
Le imprese artigiane apprezzano il superamento del reddito di cittadinanza previsto nel DL lavoro, distinguendo tra gli interventi di contrasto alla povertà per le persone non occupabili ed i percorsi per favorire le politiche attive del lavoro. E’ quanto ha indicato Confartigianato nell’audizione davanti alla Commissione lavoro del Senato, sottolineando la necessità di interventi per rafforzare la domanda di lavoro da parte delle imprese.Leggere di più
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