Tassi invariati BCE, caro-tassi più pesante per imprese in Italia. Il focus nel webinar Confartigianato
A marzo l'inflazione nell'Eurozona scende al 2,4% (era 2,6% a febbraio) e la componente di fondo si colloca al 3,1% (era 3,3% a febbraio), ma il segnale di rallentamento della dinamica dei prezzi non si è ancora tradotto in un cambio di direzione della politica monetaria. Nella seduta odierna il Consiglio direttivo della BCE ha mantenuto invariati i tassi di riferimento. Nel comunicato stampa si indica che “se la valutazione aggiornata del Consiglio direttivo in merito alle prospettive di inflazione, alla dinamica dell’inflazione di fondo e all’intensità della trasmissione della politica monetaria accrescesse ulteriormente la sua certezza che l’inflazione stia convergendo stabilmente verso l’obiettivo, sarebbe opportuno ridurre l’attuale livello di restrizione della politica monetaria.” Un riduzione dei tassi è più probabile a giugno, ma i tempi rimangono incerti: “il Consiglio direttivo continuerà a seguire un approccio guidato dai dati in base al quale le decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione, senza vincolarsi a un particolare percorso di riduzione”.
Caro-tassi più severo per le imprese italiane - Il perdurare della stretta monetaria pesa sulle condizioni finanziarie delle imprese italiane, maggiormente colpite dal caro tassi. A febbraio 2024 il costo del credito bancario per le imprese è pari al 5,44%, 32 punti base in più rispetto al 5,12% dell’Eurozona e superiore al 5,26% della Germania, al 4,88% della Francia e al 4,87% della Spagna. Il caro tassi nel corso della stretta monetaria è stato più intenso in Italia, con tassi che a febbraio 2024 sono superiori di 381 punti base rispetto a quelli di giugno 2022, mese precedente al primo rialzo, superiore di 52 punti base rispetto all’aumento dell'Eurozona. Nel periodo in esame l’aumento è stato di 329 punti base in Francia, di 333 punti base in Spagna e di 297 punti base in Germania.
Con la stretta, calano gli investimenti e la domanda di credito delle imprese. Nel 2023 il tasso di investimento delle imprese scende al 18,7% del valore aggiunto, in calo di 1,2 punti dal 19,9% del 2022. In valore, gli investimenti sono calati di 1,3 miliardi di euro, una flessione che preoccupa in relazione alla transizioni green e digitale delle imprese. A febbraio 2024 i prestiti delle imprese scendono del 4,1% su base annua, facendo peggio della Spagna (-3,0%), mentre la dinamica del credito alle imprese rimane in territorio positivo in Eurozona (+0,4%), Germania (+1,0%) e Francia (+2,2%).
Tassi, credito e investimenti per le imprese al centro del webinar del 16 aprile 2024 - Le tendenze della politica monetaria, del credito e degli investimenti, asset fondamentale per la sostenibilità delle imprese saranno al centro del webinar organizzato dalla Direzione Politiche economiche per il prossimo martedì 16 aprile 2024, dalle ore 12.00 alle 13.00, durante il quale sarà presentato il report dell’Ufficio Studi ‘Il trend del credito alle imprese e alle MPI nella primavera del 2024’.
All’incontro interverranno Bruno Panieri, Direttore delle Politiche Economiche con Emanuele Cecala, Responsabile Credito e Finanza, mentre la presentazione del report sarà curata da Enrico Quintavalle, Responsabile dell’Ufficio Studi e Licia Redolfi, Osservatorio MPI Confartigianato Lombardia.
Livello e dinamica del costo del credito bancario alle imprese nei maggiori paesi dell’Eurozona
Febbraio 2024 e variazione rispetto giugno 2022. Tasso % su nuove operazioni - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Bce
Mobili, Italia sorpassa la Germania. Nel legno e arredo 54mila imprese, due su tre sono artigiane
Martedì prossimo, 16 aprile, si apre a Milano il Salone Internazionale del Mobile, evento che celebra la contaminazione di design, progettazione e la produzione del made in Italy del legno e dell’arredo, un comparto che presenta una marcata artigianalità.
Alla fine del 2023 il settore di Legno e Mobili in Italia conta 54mila imprese registrate, precisamente 30.895 del Legno e 22.909 dei Mobili, e conta 216mila addetti. Elevata la vocazione artigiana: le 35mila imprese artigiane contano 88mila addetti rappresentano del settore il 64,4% delle imprese ed il 40,6% degli addetti.
I territori specializzati - Gli addetti delle imprese del Legno e Mobili rappresentano l’1,2% degli addetti del totale economia, ma in chiave territoriale – qui il focus sul distretto lombardo dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia – la diffusione è più che doppia, a livello regionale, per Friuli-Venezia Giulia con il 5,0%, Marche con il 3,9%, Provincia Autonoma di Bolzano con il 3,0% e Veneto con il 2,4% e, a livello provinciale, per Pordenone (10,4%), Pesaro e Urbino (9,1%), Treviso (6,4%), Como (4,5%), Udine (4,1%), Monza e Brianza (3,8%), Macerata (3,2%), Matera (3,1%), Bolzano (3,0%), Forlì-Cesena (3,0%), Pistoia (2,9%), Bari (2,6%) e Gorizia (2,4%) e Teramo (2,4%).
Fatturato dei mobili, l’Italia sorpassa la Germania – Il comparto del legno e arredo realizza un fatturato di 46 miliardi di euro di cui 27,2 miliardi (59,2%) per i mobili e 18,8 miliardi (40,8%) per i prodotti in legno. L’analisi dei più recenti dati Eurostat certifica che nel 2022 l’Italia sorpassa la Germania per il valore dei ricavi delle imprese produttrici di mobili.
Il made in Italy - L’export del legno e mobili nel 2023 vale 14,3 miliardi di euro – di cui l’82,7% rappresentato dai 11,8 miliardi di made in Italy dei mobili. Il comparto ha risentito della caduta del commercio internazionale registrata lo scorso anno, e nel 2023 l’export di legno e mobili è sceso del 5,0% rispetto all’anno precedente.
I mercati dell’export di legno e mobili - Tra i maggiori 20 mercati esteri, in controtendenza segnano una crescita Turchia con il +22,8%, Emirati Arabi Uniti con il +5,7%, Spagna con il +2,2%, Francia con il +1,5% e Grecia con +1,4%. In territorio negativo troviamo Arabia Saudita (-0,2%), Svizzera (-4%), Paesi Bassi (-4,4%), Austria (-5%), Belgio (-5,1%), Germania (-6,5%), Polonia (-6,7%), Romania (-7,2%) e Regno Unito (-7,2%). Cali più mercati per Stati Uniti (-10,9%), Australia (-11%), Israele (-11,2%), Russia (-11,5%), Canada (-15,4%) e Cina (-16,5%).
I territori del made in Italy di legno e mobili - Tra le principali regioni – con peso percentuale su totale export di legno e mobili superiore o uguale all’1% - nel 2023 rispetto al 2022 performano meglio Piemonte (+7,5%), Trentino-Alto Adige (+3,7%) e Marche (+0,2%); e peggio Puglia (-12,4%), Friuli-Venezia Giulia (-11,3%) e Lazio (-7,3%). A livello provinciale, tra le principali per contributo all’export totale di legno e mobili, dinamiche di crescita le rileviamo per Ancona (+16,7%), Piacenza (+7,1%), Bergamo (+5,0%), Teramo (+3,0%) e Milano (+3,0%); e al contrario, di decrescita a doppia cifra, le rileviamo per Gorizia (-23,9%), Bari (-13,0%), Brescia (-11,5%) e Venezia (-10,0%).
Il trend della produzione – A fronte della discesa della domanda internazionale e della debolezza dei consumi interni, influenzati dal calo del potere di acquisto delle famiglie, si osserva una contrazione dell’offerta. Nel 2023 nel settore dei prodotti in legno la produzione è scesa del 14,1% rispetto al 2022 mentre la produzione dei mobili è scesa del 5,7% in un anno, cali più marcati rispetto al -1,6% del totale manifattura. Nel confronto europeo nel legno il calo è più accentuato del -10,4% media Ue 27 mentre nei mobili la flessione è meno accentuata -7,9% della media Ue a 27.
Più critica la carenza di manodopera - Per il settore del Legno e Mobili nel 2023 si osserva una elevata, e superiore alla media, quota di imprese che lamentano la mancanza di manodopera. Questa evidenza la cogliamo attraverso l’elaborazione dei dati Excelsior-Unioncamere secondo la quale le entrate difficili da reperire sono il 57,1% del totale, superiore di 12 punti percentuali rispetto alla media di 45,1% e di 7,1 punti rispetto al 50,0% del Manifatturiero esteso; sono 28.120 i lavoratori difficili da assumere ed in particolare il 61,6% per ridotto numero di candidati e 32% per inadeguatezza.
A livello regionale le imprese del settore legno e mobili riscontrano difficoltà maggiore a trovare le figure professionali di cui necessitano in Liguria (con il 67,4% di entrate difficili da reperire), seguita da Friuli Venezia Giulia (65,7%), Toscana (65,4%), Trentino Alto Adige (64,6%), Abruzzo (61,5%), Marche (60,1%), Emilia Romagna (59,0%) e Umbria (57,3%).
Tra le figure più ricercate dalle imprese di Legno e Mobili – con almeno mille entrate – quelle con difficoltà di reperimento superiore alla media del settore sono: Tappezzieri e materassai (79,6%), Disegnatori industriali (67,7%), Falegnami ed attrezzisti di macchine per la lavorazione del legno (67,2%) e Operai addetti a macchine in impianti produzione in serie mobili/articoli in legno (61,8%). In particolare, i falegnami e attrezzisti di macchine per la lavorazione del legno sono i lavoratori più ricercati dal settore, ma si fa fatica a trovarne 10.410 che rappresentano il 37,0% delle entrate difficili da reperire nel settore.
Il quadro territoriale del settore – I dati sulle imprese totali ed artigiane e delle esportazioni per regione e provincia e quello nazionale delle entrate con dettaglio di difficoltà di reperimento del settore di Legno e Mobili è proposto nella Appendice statistica “Legno e Mobili: imprese, artigianato, made in Italy e carenza di manodopera“, elaborata in collaborazione con l’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia. Qui per scaricarla.
Grado di esposizione dell’export di legno e mobili per regione
Anno 2023 – export su valore aggiunto 2021 - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Entrate difficili da reperire per il settore legno-arredo nelle regioni italiane
Anno 2023 – % su totale entrate - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Il 37,2% delle MPI migliora la sostenibilità ambientale e il 32,8% la sostenibilità sociale
L’analisi dello sviluppo dei sistemi economici vede una crescente attenzione per gli aspetti ambientali e sociali, con l’obiettivo di delineare traiettorie di crescita sempre più integrate con condizioni di benessere equo e sostenibile. Per approfondire la partecipazione delle imprese ai processi di crescita sostenibile, Confartigianato propone per il 10 e 11 aprile il 2° Forum sulla Sostenibilità dal titolo "Il ruolo delle imprese responsabili".
L’ampio spettro di dati per valutare la sostenibilità delle imprese – Per esaminate le dinamiche dello sviluppo sostenibile è richiesto un ampio spettro di dati statistici. A tal proposito si ricorda che ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile si associano 169 target, per i quali il Rapporto SDGs 2023 dell’Istat diffonde 372 misure statistiche. Una analisi del grado di sostenibilità di imprese e filiere associa ai parametri più strettamente economici – quali valore aggiunto, fatturato e occupati - l’elaborazione di un ampio ventaglio di indicatori dello sviluppo sostenibile che, peraltro, non sono ancora tutti disponibili. Ne ricordiamo alcuni.
Per valutare la sostenibilità ambientale delle imprese sono essenziali i dati su utilizzo di energia da fonti rinnovabili, contenimento dei consumi di acqua, partecipazione ai processi di economia circolare e contenimento delle emissioni. Sulla sostenibilità economica vanno esaminati dati su produttività del lavoro, investimenti in digitalizzazione, R&S, formazione e internazionalizzazione, la diffusione di politiche per la stabilità finanziaria e gestione dei rischi, di politiche di anticorruzione, la partecipazione a politiche pubbliche, la gestione etica e il coinvolgimento dei portatori di interesse. Per la sostenibilità sociale vanno monitorate le iniziative per la salute e sicurezza dei lavoratori e dei beni e servizi venduti, quelle per il benessere lavorativo e per le pari opportunità, gli interventi per lo sviluppo professionale dei lavoratori, per la conciliazione tra lavoro e famiglia, l’acquisizione di personale in condizioni di difficoltà, il mantenimento dell'occupazione anche in presenza di profitti ridotti, la partecipazione ad iniziativa di rigenerazione urbana e di welfare sociale di interesse collettivo, le iniziative per combattere la povertà e il disagio sociale, il sostegno allo sport e a iniziative culturali di interesse collettivo.
In questo quadro di crescente complessità informativa si inseriscono le evidenze rese disponibili dal censimento delle imprese dell’Istat che nelle ultime due edizioni ha dedicato una sezione alla misurazione delle azioni di miglioramento della sostenibilità intraprese dal sistema imprenditoriale italiano.
Il miglioramento della sostenibilità green delle MPI - L’analisi dei più recenti dati pubblicati indica che nel biennio 2021-2022 il 37,2% delle micro e piccole imprese (MPI) tra 3 e 49 addetti ha svolto almeno una azione per migliorare la sostenibilità ambientale. In particolare, si osserva una maggiore diffusione delle MPI impegnate in ottica di sostenibilità ambientale tra quelle con 20-49 addetti con il 54,6% seguite da quelle con 10-19 addetti con il 46,6%.
Tra le MPI che hanno agito per migliorare la sostenibilità ambientale, il 78,2% è impegnato nella tutela ambientale tratta i rifiuti (compresa la raccolta differenziata e gli sversamenti significativi), il 37,9% utilizza materiali riciclati, il 25,8% predispone piani di miglioramento dell'efficienza energetica, il 25,2% monitora l'inquinamento ambientale, il 24,0% monitora i consumi idrici, il 14,0% utilizza fonti energetiche rinnovabili ed il 12,0% efficienta il sistema di trasporto aziendale.
Gli interventi per migliorare la sostenibilità sociale delle MPI - Su un altro fronte della sostenibilità, si osserva che il 32,8% delle MPI ha migliorato la sostenibilità sociale della propria attività ed anche in questo caso si distinguono le imprese con 20-49 addetti con una quota del 53,5% seguite dal 45,8% delle imprese con 10-19 addetti.
Tra le MPI che hanno agito per migliorare la sostenibilità sociale prioritariamente è stato prioritario il monitoraggio di salute e sicurezza dei lavoratori in cui si è impegnato ben l'84,3% delle imprese, seguito dal monitoraggio della sicurezza dei prodotti condotto dal 48,9% di loro. Inoltre, sono stati poi messi in campo piani di monitoraggio e pratiche per il benessere lavorativo nel 32,0% dei casi, il 24,3% ha collaborato con associazioni del territorio che promuovono iniziative di carattere sociale, benefico, culturale e ricreativo, il 12,1% ha stilato piani ad hoc per favorire le pari opportunità e il 10,7% ha esteso il congedo parentale e per gravi motivi.
MPI che hanno agito per migliorare la sostenibilità ambientale per tipologia di azione
Biennio 2021-2022. % su imprese 3-49 add. ed oltre che hanno svolto almeno una azione per migliorare la sostenibilità ambientale - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
MPI che hanno agito per migliorare la sostenibilità sociale della propria attività per tipologia di azione
Biennio 2021-2022. % su imprese 3-49 add. ed oltre che hanno svolto almeno una azione per migliorare la sostenibilità sociale - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Confartigianato Estetisti su Les nouvelles esthétiques. Baiolini: 'Non dobbiamo svendere la nostra professionalità'
La Presidente di Confartigianato Estetisti, Stefania Baiolini, ha analizzato le cause della carenza di personale qualificato nel settore estetico in un articolo intitolato "Formazione e cura del cliente - binomio inscindibile per un’estetica di qualità", pubblicato su LES NOUVELLES ESTHETIQUES. Nell'articolo, evidenzia l'importanza cruciale di una formazione di qualità, affiancata dalla passione e dedizione, come fondamenti della professionalità estetica. "La professionalità non deve essere svenduta. Distinguersi nel mercato richiede di offrire serietà e competenza ai clienti."
Riportiamo di seguito il testo completo dell'articolo.
Gli annunci di ricerca di personale qualificato nell’estetica stanno crescendo in modo esponenziale, ma risulta sempre più difficile trovare personale che abbia caratteristiche idonee da poter inserire nei centri estetici...
QUAL È IL PROBLEMA?
La domanda è lecita! Confartigianato ha pubblicato uno studio (leggi QUI) da cui risulta che la carenza di manodopera è generalizzata in tutti i settori dell’artigianato: non vi è un’unica risposta alla domanda, ma sicuramente una maggiore attenzione alla formazione dell’estetista potrebbe agevolare il reperimento di personale adeguato. La formazione dell’estetista è regolamentata nella legge 1/90 che, all’articolo 3, prevede che al termine dell’obbligo scolastico si frequentino due anni da 900 ore ciascuno, per conseguire la qualifica professionale, seguiti da un ulteriore anno qualora si voglia aprire una propria attività. Nonostante queste chiare previsioni di legge, nel nostro paese la formazione professionale risente pesantemente dell’autonomia regionale, il che comporta percorsi differenti per chi voglia approcciarsi a questa professione. Differenti da regione a regione. Non vi è paradossalmente nemmeno uniformità rispetto all’età in cui si possa iniziare a frequentare un percorso di estetica, cosa che potrebbe sembrare irrilevante, ma che modifica sostanzialmente sia l’incontro dei giovani con questo splendido lavoro, sia la qualità dell’insegnamento, sia infine l’approccio al lavoro stesso. Bisogna anche aggiungere la proposta di corsi online e riflettere sulla preparazione che possono offrire questi percorsi dove le lezioni pratiche vengono parzialmente simulate o effettuate in maniera intensiva in pochissimo tempo a discapito dell’apprendimento, o quelle che addirittura propongono percorsi “accelerati” di due anni in uno.
UN OCCHIO ALLE QUALIFICHE
Complice tale disomogeneità, alle professioniste sono proposti dalle scuole e dalle aziende corsi extra su nuove tecniche, nuovi cosmetici e nuove apparecchiature estetiche, oltre a numerosi corsi di comunicazione e marketing, che sono molto frequentati in quanto molto utili all’estetista. L’estetica è una professione in evoluzione che ha bisogno di un arricchimento di competenze continuo e le richieste dei clienti, sempre più particolari e puntuali, ci spingono a un aggiornamento costante che con fatica e dedizione affrontiamo. Questi corsi occupano spesso le domeniche e le giornate di riposo dei nostri centri estetici, ancorché affrontate con l’entusiasmo che ci contraddistingue quotidianamente. L’ideale però sarebbe che venissero proposti solo a persone qualificate e con attività imprenditoriali avviate, per non incrementare il mondo del sommerso che sta soffocando questo settore ed espone a seri rischi la salute dei clienti. A questo proposito, è necessario che le nostre competenze vengano valorizzate, anche attraverso tariffe di trattamenti che consentano la dovuta marginalità, non svendute per rincorrere il “sottocosto” che soltanto chi esercita abusivamente può permettersi di applicare. Del resto, in qualunque settore la qualità ha un costo, ma ripaga sempre in termini di servizio/ prodotto acquistato.
L’ESTETICA NON È SOLO BUSINESS...
Non dobbiamo svendere la nostra professionalità. Credo che queste riflessioni siano d’obbligo per chi ama la professione dell’estetista e che trasmette con passione alle clienti indicazioni per occuparsi al meglio del loro viso e del loro corpo, per piacersi e stare bene. Sembra invece che tutto nel nostro settore si stia trasformando in mero business. La prima cosa che all’interno di un qualunque percorso formativo dovrebbe essere insegnata è proprio la passione e la dedizione con cui ci si deve occupare del cliente e, solo successivamente, fornire tutte le conoscenze e le abilità per eseguire il trattamento nel migliore dei modi e con la dovuta attenzione. La serietà e la competenza devono essere le linee-guida essenziali per professioniste e formatori, se vogliamo che il nostro settore evolva proficuamente e possa disporre di personale preparato e motivato. Se non riusciamo a cogliere questo obiettivo sarà inevitabile trovare sempre meno mano d’opera qualificata e sempre più soggetti in cerca di facili guadagni, con buona pace della cura del cliente che tanto ci sta a cuore.
Verso il DEF 2024: le 10 spie accese sul cruscotto dei conti pubblici italiani
Questa settimana il Consiglio dei ministri varerà il Documento di economia e finanza per il 2024, tracciando il programma di finanza pubblica fino al 2027. Sul cruscotto della politica fiscale italiana vi sono alcune spie accese, che esaminiamo in questo articolo.
1/ Il deficit – L’Istat ha certificato un deficit per il 2023 del 7,2% del PIL, in discesa rispetto all’8,6% nel 2022, ma di quasi due punti superiore al 5,3% indicato nel Documento programmatico di bilancio inviato ad ottobre alla Commissione europea. Vedremo nel DEF 2024, anche in relazione alla contabilizzazione dei bonus edilizi, il profilo del disavanzo del bilancio pubblico, in attesa della riclassificazione di Eurostat prevista per giugno.
2/ In arrivo la procedura di infrazione – Da inizio anno è tornato in vigore il Patto di stabilità e crescita e, sulla base del deficit raggiunto, il ministro dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti ritiene “scontato che la Commissione europea raccomanderà al Consiglio di aprire una procedura di disavanzo eccessivo nei confronti dell'Italia, come della Francia e di altri 10 paesi”. Nelle raccomandazioni di maggio del 2023 la Commissione riteneva opportuno per l’Italia un miglioramento del saldo strutturale di almeno lo 0,7 % del PIL per il 2024. L’aggiustamento richiesto condizionerà gli interventi della manovra di bilancio per il 2025 su cuneo fiscale e riduzione dell’Irpef
3/ L’applicazione delle nuove regole europee di bilancio – La riforma del Patto di stabilità e crescita prevede per i paesi ad alto debito, come l’Italia, una riduzione del rapporto debito/PIL dell’1% all’anno e un prudenziale limite del rapporto deficit/PIL dell’1,5%.
4/ Le elezioni europee – A giugno si vota per il rinnovo del Parlamento europeo. La Commissione guidata da Ursula von der Leyen è a fine mandato e potrebbe moderare le richieste di aggiustamento fiscale per Italia e Francia.
5/ La riduzione del debito pubblico - Nel triennio 2024-2026 era prevista una stabilizzazione del rapporto debito PIL. Nonostante il debito nel 2023 si collochi al 137,3% del PIL - in riduzione di 3,2 punti dal 140,5% del 2022 e inferiore alla previsione del 140,2% di settembre 2023 - è incerto se il DEF in uscita riuscirà a mantenere una apprezzabile riduzione del peso del debito pubblico.
6/ I ritardi del PNRR – Nel DEF di aprile 2021 si indicava che entro il 2023 dovevano essere spesi 85,9 miliardi di euro del PNRR, ma nel consuntivo contenuto nella quarta relazione sul Piano approvata dal Governo a fine febbraio 2024, la spesa sostenuta a tutto il 2023 si ferma a 45,7 miliardi di euro, ben 40,1 miliardi in meno di quanto previsto tre anni fa. La scarsa capacità amministrativa pesa sulla crescita: dalla completa e tempestiva realizzazione del Piano, infatti, è attesa per quest’anno una maggiore crescita di 7 decimi di punto di PIL.
7/ Una transizione green senza incentivi? - La direttiva sulle case green richiede una riduzione dell’energia utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035. Su 2,8 milioni di certificazioni energetiche di abitazioni residenziali emesse per passaggio di proprietà, il 37,1% è nella classe meno efficiente (G). Di conseguenza, su un parco di 25 milioni di abitazioni occupate, si stimano che siano 9,5 milioni le abitazioni con le peggiori performance energetiche. Si rischia il paradosso che l’aggiustamento di bilancio, reso necessario dalle regole europee, penalizzerebbe il sostegno alle famiglie con le detrazioni fiscali necessarie per raggiungere la riduzione dei consumi della case, sempre prevista da regole europee. Ulteriori incertezze e complessità burocratiche deriverebbero dalla sostituzione dei crediti di imposta con i contributi.
Sulla necessità di costruire strumenti certi, stabili, sostenibili per le casse dello Stato a supporto dell’efficientamento energetico degli edifici è intervenuto il Presidente di Confartigianato Marco Granelli su Il Foglio di sabato scorso.
8/ Il salvagente di transizione 5.0 – In prospettiva di una restrizione fiscale, diventa particolarmente prezioso il pacchetto di sostegno agli investimenti per la transizione 5.0, contenuto nel decreto PNRR dello scorso 2 marzo – qui le valutazioni di Confartigianato sul decreto, che prevede crediti di imposta per investimenti effettuati per 6,2 miliardi di euro nel biennio 2024 e 2025.
9/ La sincronizzazione delle politiche economiche - Se la governance fiscale per l’Italia diventerà restrittiva, sarà più che mai necessario un rapido cambio di direzione della politica monetaria, con un taglio dei tassi che andrebbe attuato fin dalla riunione del consiglio della BCE di giovedì prossimo.
10/ Il freno a mano della locomotiva europea – Il DEF 2024 indicherà il profilo della crescita dell’economia italiana, Le previsioni del 2024 oscillano tra il +1,2% previsto nella Nota di aggiornamento dello scorso settembre al +0,6% indicato dalla Banca d’Italia venerdì scorso. Una stretta fiscale comprometterebbe la buona performance dell’economia italiana che, nella ripresa post pandemia, ha cumulato una crescita del PIL tra il 2029 e il 2023 del 3,5%, facendo meglio di Spagna (+2,5%), Francia (+1,5%) e Germania (+0,7%).
Rapporto deficit/PIL in Italia
1995-2023, incidenza % del saldo di bilancio sul PIL - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
PNRR: spesa sostenuta fino a fine 2023 nelle previsioni 2021-2022 e a consuntivo
2020-2023, miliardi di euro - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Mef e Ministero Affari Europei, Sud, Politiche di Coesione e PNRR