Caos-dazi, con 1 intervento ogni 6 giorni a rischio ripresa export: -1,9% a maggio
Mancano 9 giorni al D-day dei dazi. Se non si raggiungerà un accordo, dal prossimo 1° agosto entrano in vigore i dazi del 30% annunciati nella lettera inviata dal Presidente Trump lo scorso 12 luglio. L’annuncio della Casa Bianca è solo uno dei fili di una ragnatela vischiosa sul commercio internazionale che proietta effetti incerti sulle vendite del made in Italy e sui territori della manifattura italiana.
Una rassegna dei contenuti del portale di Confartigianato sulla guerra commerciale in atto è proposta con il tasto nella home page del portale ‘Argomenti di attualità’ sui dazi Usa.
Le 10 variabili chiave per valutare i dazi – Per analizzare l’impatto dei dazi statunitensi sulle esportazioni e processi di crescita delle economie europee va considerato un ampio set di elementi che influiscono sui flussi di commercio estero, che riassumiamo in dieci variabili chiavi.
1/ Il caos normativo mette rischio la ripresa dell’export
La guerra dei dazi genera una parossistica successione di annunci, rinvii, applicazioni e aliquote applicate che rendono difficili le decisioni di acquisto di input produttivi e di beni di investimento delle imprese. Nella trattativa tra Unione europea e Stati Uniti, tra il 10 di febbraio e il 14 luglio, si sono succeduti 25 interventi, uno ogni 6 giorni, di cui 7 annunci, 9 sospensioni e rinvii, 6 entrate in vigore, oltre a 3 altri interventi.
A maggio 2025 ritorna il segno negativo sulla dinamica delle vendite del made in Italy nel mondo, che segna un calo dell’1,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, dopo il +5,9% di marzo e il +0,5% di aprile. L’incertezza sul commercio mondiale determinata dal caso-dazi rischia di compromettere la ripresa in corso del made in Italy: nei primi cinque mesi del 2025 l’export cresce dell’1,6%, in frenata rispetto al +2,5% dei primi quattro mesi del 2025.
2/Le contromisure
Il grado di incertezza e i feedback sui diversi mercati si amplia a seguito delle contromisure ai dazi introdotte dai partner commerciali degli USA. La Commissione europea ha sospeso fino al 1° agosto le misure di riequilibrio su acciaio e alluminio, mentre ha individuato un secondo elenco di beni, che ammonta a circa 72 miliardi di euro di importazioni statunitensi.
3/Impatto su filiere multinazionali
Gli Stati Uniti controllano 2.603 imprese in Italia, con 350.900 addetti e 162,6 miliardi di euro di fatturato. Negli Stati Uniti operano 3.194 controllate italiane con 156.172 addetti e 63,2 miliardi di fatturato. Una analisi della BCE contenuta nel Bollettino economico n. 4 indica che nel 2024 gli scambi delle affiliate delle multinazionali statunitensi situate nell’area determinano il 30% dell’avanzo relativo ai beni dell’area dell’euro nei confronti degli Stati Uniti e il 90% disavanzo dell’area dell’euro relativo all’interscambio di servizi.
4/ Reshoring negli USA e differenziale del costo del lavoro
La politica protezionistica si pone l’obiettivo di riportare negli Stati Uniti produzioni delocalizzate. Il reshoring deve considerare, tra l’altro, un elevato differenziale del costo del lavoro. Una controllata italiana manifatturiera negli Stati Uniti mediamente ha 94 dipendenti e un costo del lavoro di 87.300 euro per dipendente, il 74,9% superiore ai 49.900 euro per dipendente in una media impresa italiana manifatturiera.
5/ Effetto accumulo
In attesa della conclusione della trattativa le imprese anticipano gli acquisti per evitare che siano soggetti a dazi. Tra marzo e maggio 2025 l’export negli USA è salito del 14,0% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I dati del commercio estero tra UE e Stati Uniti ad oggi disponibili non sono una valida base per le proiezioni future.
6/Effetti indiretti
Oltre all’esposizione diretta sul mercato USA, va considerata anche quella indiretta, che considera i prodotti che gli altri paesi esportano verso gli Stati Uniti utilizzando come input beni intermedi prodotti in Italia. Stime del Bollettino economico di aprile di Banca d’Italia indicano che l’8,1% del valore aggiunto della manifattura italiana giunge negli Stati Uniti, di cui il 6,4% per via diretta e 1,7% per via indiretta.
7/Elasticità della domanda differente per settore
L’impatto varia in base al settore e alla sensibilità della domanda rispetto ai prezzi. Il 43% esportazioni di beni verso gli Stati Uniti siano costituite da prodotti di qualità alta, che sono più difficile da sostituire. Nel caso dei macchinari, primo prodotto del made in Italy esportato negli Stati Uniti, in molti casi i macchinari e gli impianti prodotti in Europa sono realizzati in co-progettazione con l’impresa cliente statunitense per meglio adattarli alle esigenze di produzione, non sono facilmente fungibili e presentano elevati costi per cambiare il fornitore.
8/Effetto cambio
La svalutazione del dollaro rispetto all’euro modifica l’effetto dei dazi, influenzando la competitività relativa tra le produzioni europee e statunitensi. Tra gennaio e luglio 2025 (media al 17 luglio) il dollaro si è deprezzato del 13,1% nei confronti dell’euro. Nel più lungo periodo, dazi e relative contromisure rialzano i prezzi, potendo innescare rialzi (o mancati ribassi) dei tassi di interesse che influiscono sui tassi di cambio delle principali valute mondiali.
9/Crescita della concorrenza cinese
Gli ostacoli posti alla Cina nel mercato Usa, potrebbe deviare l’export cinese verso l’Europa, con effetti sul posizionamento delle imprese europee.
10/Stimolo alla ricerca di nuovi mercati
Le barriere sul mercato statunitense portano le imprese a diversificare i mercati di sbocco, orientandole maggiormente verso paesi a maggiore potenziale.
In 25 top market proiezioni per il 2025 di 22,7 miliardi di maggiore export – La ragnatela dei dazi potrebbe generare un feedback negativo sulla ripresa dell’export in corso, che vede un marcato dinamismo su molti rilevanti mercati del made in Italy. In una analisi degli ultimi dati di dettaglio, aggiornati al mese di aprile 2025, emerge che tra i primi 40 mercati, con l’esclusione degli Stati Uniti, si distinguono 25 paesi top market che complessivamente pesano circa i due terzi (63,2%) del made in Italy venduto nel mondo e che registrano una crescita dell’export del 5,3% mentre il resto del mondo segna un calo dell’1,9%. Il trend di crescita nel primo quadrimestre 2025 proietta per l’intero 2025 in questi venticinque mercati un maggiore export pari a 22,7 miliardi di euro, il quale potrebbe compensare in modo significativo il calo sul mercato statunitense causato dai dazi. Tra i maggiori mercati (oltre cinque miliardi di export nel 2024) si osserva un maggior dinamismo per Emirati arabi uniti con +20,9%, Svizzera con +13,1%, Spagna con +10,7%, Arabia Saudita con +9,6% e Repubblica Ceca con +8,5%. Tra gli altri mercati si registra una crescita dell’export a doppia cifra in Brasile con +14%, Israele con +13,1%, Danimarca con +11,8%, Irlanda con +11,5% e Singapore con +11,3%, mentre si osservano aumenti sopra alla media per Portogallo con +8,6% e Algeria con +7,4%.
Caos-dazi: gli interventi nella trattativa UE-USA in 154 giorni
10 febbraio-14 luglio 2025 – Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea, ICE, White House
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