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Spirito Artigiano in viaggio oltre la crisi, tra creatività e rinascita generativa

Il nuovo numero di Spirito Artigiano esplora le profondità e le prospettive del tessuto imprenditoriale italiano, ponendo al centro una doppia riflessione: da un lato, l’analisi delle strutture economiche che caratterizzano le nostre imprese, dall’altro, il potenziale relazionale e generativo come leva di futuro. E’ un invito a guardare oltre la crisi, per ritrovare il senso profondo del lavoro come atto creativo, sociale e culturale. Una lettura per chi crede che il futuro dell’Italia passi – ancora – per le mani e le menti dei suoi artigiani, protagonisti di un tessuto produttivo che non si limita a resistere, ma prova a rinascere, mettendo al centro le persone, le relazioni, i territori e i saperi.
In copertina le analisi del Prof. Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, il quale propone una lettura articolata della struttura economica italiana, andando oltre la storica contrapposizione tra “piccolo è bello” e necessità di scala. Ripercorrendo il contributo interpretativo del Censis di Giuseppe De Rita, Magatti sottolinea come lo sviluppo italiano del dopoguerra si sia distinto per la straordinaria vitalità delle PMI, capaci di dare forma a un modello produttivo diffuso, resiliente e territoriale. Un modello spesso accusato di frammentazione e inefficienza, ma che – come dimostra il Terzo Rapporto sull’Italia Generativa – ha saputo evolvere, dando vita a un’élite di “multinazionali tascabili” capaci di competere sui mercati internazionali non sui costi ma sulla qualità, l’innovazione e il radicamento.

Ad arricchire le riflessioni il contributo firmato da Patrizia Cappelletti e Riccardo Della Valle, che spostano il paradigma dall’economia dei numeri a quella dei legami. Cappelletti propone un cambiamento di rotta profondo per l’impresa artigiana e non solo: non più solo soggetto economico, ma attore sociale capace di generare valore collettivo, attraverso una visione relazionale, contestuale e intergenerazionale. Il cuore del contributo è rappresentato dalle esperienze raccolte nel Terzo Rapporto Italia Generativa, dodici casi aziendali che mostrano come si possa fare impresa con senso, radicamento e apertura. Tutto ciò per dire che l’artigianato italiano, quando è generativo, non è nostalgia del passato ma una via concreta per il futuro. Non basta più l’eccellenza individuale: occorre costruire reti territoriali, alleanze educative, filiere glocali. Il “fatto bene” torna al centro, ma con uno sguardo proiettato al domani. Insomma, “la generatività non è una bella teoria o una buona intenzione”: è già visibile in molte realtà italiane, che uniscono tecnica, cultura, etica e creatività. Ed è qui che l’Italia ha ancora molto da dire.

Nell’intervista realizzata da Federico di Bisceglie al professor Riccardo Ursi, docente di Diritto amministrativo all’Università di Palermo, si affronta una delle questioni più spinose dell’economia italiana: l’assenza di una vera politica industriale a sostegno delle PMI e del mondo artigiano. Ursi denuncia una «postura culturale strutturale» orientata più all’assistenzialismo che alla generazione di impresa. A peggiorare la situazione, la crisi del passaggio generazionale e le difficoltà nel rapporto con una Pubblica Amministrazione ancora percepita come un ostacolo. Ma il professore non si limita alla critica: propone tre linee d’azione concrete per il rilancio del settore – semplificazione burocratica, promozione integrata con il turismo e accesso facilitato al credito per l’innovazione.

Giuseppe Iamele, imprenditore e Principal Expert di The European House – Ambrosetti, racconta in “Generazioni, generatività e nuove grammatiche del lavoro” l’esperienza di Open Jam, una ricerca che ha coinvolto oltre tremila under 30. Il risultato è un affresco vivido della trasformazione culturale in atto nel mondo del lavoro: i giovani non si ritirano, ma riscrivono i codici della partecipazione lavorativa. Chiedono ambienti autentici, flessibili, basati su relazioni significative. Iamele introduce il concetto di “tensioni generative” come binomi (libertà/azione collettiva, equità/dignità, ecc.) capaci di guidare l’evoluzione delle organizzazioni verso un modello realmente umano e sostenibile. Una sfida che non è solo gestionale, ma filosofica.

Serena Gobbo racconta l’esperienza di Lilopera con il progetto Pop-Up Opera – Con le mani imparo un mestiere, un’iniziativa che unisce teatro musicale, artigianato e orientamento scolastico. Il laboratorio, rivolto a bambini e ragazzi, si propone di contrastare la crescente perdita delle abilità manuali e favorire una cultura del lavoro che metta al centro il “fare” come esperienza educativa e identitaria. Attraverso la creazione di scenografie ispirate all’opera lirica, i giovani riscoprono talenti spesso ignorati dal sistema scolastico tradizionale. Con un approccio concreto all’orientamento e alla lotta contro la dispersione scolastica, Pop-Up Opera si presenta come modello replicabile su scala nazionale.

Antonio Payar, dirigente di Confartigianato, affronta il tema della crisi di natalità imprenditoriale in Italia – tra i fanalini di coda in Europa per nuove aperture – e lo fa partendo da un’immagine potente: il volo del calabrone. Come l’insetto che non dovrebbe volare ma ci riesce comunque, l’Italia ha costruito un’economia unica al mondo nonostante condizioni non ottimali. Payar ripercorre le riflessioni di grandi pensatori dell’economia italiana come Giacomo Becattini, Giuseppe De Rita, Enzo Rullani, Aldo Bonomi e Giorgio Bocca, delineando la centralità del “capitalismo personale”: un modello fondato sulla persona, sulla sua vocazione e sulla sua capacità di dare vita a reti produttive radicate nei territori. In questo quadro, l’impresa artigiana diventa metafora dell’umano che si trasforma, una “invenzione continua” che abita la possibilità, come scriveva Flannery O’Connor. Lo Spirito Artigiano, in questa visione, non è solo un fare, ma un cammino di senso: la creatività, l’imperfezione fertile (secondo Telmo Pievani), la vocazione, diventano strumenti per affrontare le sfide della contemporaneità, compresa quella posta dall’intelligenza artificiale. “Essere artigiani”, scrive Payar, “significa abitare lo sconosciuto, generare ambienti di fraternità e cultura della meraviglia”. Una prospettiva che trova eco anche nel pensiero di Antonio Spadaro, secondo cui la creatività oggi è ciò che ci permette di restare umani.

Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio studi di Confartigianato, offre una lettura rigorosa e dati alla mano dell’evoluzione dell’artigianato. In un contesto segnato da crisi multiple – pandemia, guerre, instabilità energetica e inflazione – le imprese hanno dimostrato una sorprendente capacità di adattamento e selezione virtuosa. L’analisi individua dieci ambiti di crescita tra il 2019 e il 2024, nonostante un calo complessivo delle imprese artigiane (-3,5%). Dall’artigianato del sistema casa (+10,1%) alla cura della persona e dello sport (+20,5%), dal digitale (+23,7%) al design e alla creatività (+21,9%), emerge un artigianato che si rinnova nei servizi, nella prossimità, nell’ibridazione tra manualità e tecnologia. Ogni ambito racconta una storia di trasformazione: il ritorno alla qualità, la personalizzazione, l’economia del riuso, l’attenzione alla sostenibilità, l’integrazione tra digitale e umano. È un artigianato che crea valore relazionale e culturale, capace di affrontare le sfide globali con soluzioni locali.

Massimiliano Valerii, direttore del Censis, tratteggia un’Italia sospesa, in cui i giovani, privi di fiducia nel progresso e senza stimoli a investire su se stessi, mettono in pausa il futuro. La scelta di avere figli o di aprire un’impresa appare oggi più come un rischio che come un atto di costruzione. La generatività – biologica ed economica – è in crisi perché è venuto meno il senso di un domani migliore. E in assenza di fiducia nel futuro, si preferisce aspettare l’eredità, piuttosto che inventarlo.


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