Spirito artigiano svela il ‘saper fare’ che dà forma alla magia del cinema
Il nuovo numero di Spirito Artigiano racconta il cinema partendo dal suo ‘cuore’, da ciò che sta dietro le luci dei red carpet, vale a dire la trama fitta di mani, officine, botteghe, set, laboratori digitali e storie umane che regge l’intera impalcatura dell’audiovisivo italiano.
Ne emerge un grande romanzo corale: una narrazione che intreccia economia, formazione, creatività, responsabilità sociale e un patrimonio di saperi che, pur trasformandosi, non smette mai di essere profondamente artigiana.
Francesco Samorè, Segretario Generale della Fondazione Giannino Bassetti, apre questo racconto ripercorrendo la nascita del film ‘Avanti Artigiani!’ e scoprendo come, a dieci anni di distanza, la questione centrale rimanga la stessa: il passaggio generazionale. In un Paese segnato dal calo demografico e da un crescente disorientamento giovanile, la domanda che il documentario poneva allora — e che oggi torna con più forza — è come guidare le nuove generazioni verso i mestieri tecnici e manuali, verso quelle professioni che costituiscono una struttura portante dell’economia reale. Samorè osserva come l’innovazione sia stata spesso adorata come un feticcio, separata dai contesti reali di produzione; e come, invece, proprio l’artigianato insegni che ogni innovazione ha senso solo se accompagnata da un’evoluzione culturale e valoriale. È un invito a rimettere ordine, a ridare centralità al progetto, alla competenza, al gesto: in altre parole, a cominciare davvero un nuovo film.
A questa riflessione sulle radici del fare si collega l’intervista di Federico Di Bisceglie a Rossella Catanese, Docente e ricercatrice all’Università della Tuscia, specializzata in restauro cinematografico, archivi filmici e avanguardie, che ci porta dentro Cinecittà come in una grande bottega contemporanea. Tra i capannoni dei teatri di posa, la Catanese fa emergere un’idea semplice e radicale: il cinema non esiste senza techné, senza la materia e le mani che la manipolano, senza i mestieri che costruiscono concretamente la magia. Lo schermo è solo l’ultimo passaggio di un processo che coinvolge scenografi, falegnami, sarti, parrucchieri, truccatori, tecnici della luce e del suono, artigiani digitali, modellatori 3D. È un ecosistema in cui la digitalizzazione non cancella la manualità ma la rilancia, generando figure ibride: artisti della materia e dell’algoritmo al tempo stesso. La Catanese insiste su un punto che attraversa tutto il numero: per attrarre i giovani non basta un’infrastruttura formativa, serve un nuovo immaginario che restituisca dignità e fascino ai mestieri della produzione.
Dal laboratorio ideale di Cinecittà ci si sposta poi nel panorama più ampio dell’industria audiovisiva con l’analisi di Corrado Azzollini, produttore e distributore cinematografico, presidente di Confartigianato Cinema e Audiovisivo, che racconta un settore attraversato da crisi e mutamenti profondi, ma ancora ricco di potenzialità. L’Italia resta una scuola riconosciuta nel mondo, un luogo in cui il talento artigiano si è sedimentato in decenni di pratiche, processi, conoscenze. Azzollini richiama la necessità di consolidare questo patrimonio attraverso politiche stabili, incentivi mirati, una visione europea più equilibrata e una formazione all’altezza delle nuove sfide tecnologiche. Le micro e piccole imprese — cuore pulsante dell’artigianato — emergono come il vero motore dell’audiovisivo: realtà capaci di combinare flessibilità, qualità, radicamento territoriale e capacità di innovazione.
Questa intuizione viene confermata, con la forza dei numeri, dal contributo di Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio studi di Confartigianato. Il quadro che delinea è impressionante: nella filiera del cinema, del video e della televisione operano oltre 18.000 imprese e più di 50.000 addetti; due terzi di loro lavorano in micro e piccole imprese, che generano oltre la metà dell’intero fatturato del settore. È un’economia viva, fatta di servizi altamente specializzati, che vale complessivamente 9,2 miliardi di euro, di cui 5,3 prodotti da imprese artigiane. È un universo che si estende dalle scenografie ai costumi, dagli effetti digitali alla logistica di set e produzioni, dalla manutenzione delle attrezzature ai servizi di ristorazione e trasporto. Un mosaico di attività che richiede competenze rare e molto richieste: non a caso, la difficoltà di reperimento raggiunge il 60,5%. Quintavalle mostra il cinema non come un mondo glamour distante dalla realtà produttiva, ma come un gigantesco generatore di lavoro, valore e opportunità: una rete di artigiani che dà forma ai sogni e tiene in piedi un intero segmento dell’economia culturale italiana.
Le parole di Maria Grazia Cucinotta, attrice e produttrice cinematografica, pronunciate all’Assemblea di Confartigianato Imprese svoltasi il 25 novembre, portano una dimensione etica e civile. L’attrice riconosce nell’artigianato la matrice della bellezza italiana, quella che tutto il mondo ci invidia e che rende possibile la stessa forza del nostro cinema. Ma lega questa riconoscenza a un principio imprescindibile: il rispetto. Rispetto per il lavoro, per la qualità, per i mestieri; rispetto soprattutto per le donne, senza il quale nessuna eccellenza può fiorire. Il suo intervento diventa una riflessione sulla cultura del fare e della dignità, sulla necessità di superare individualismi e diffidenze, e di costruire reti di condivisione: “se va bene a uno, va bene a tutti”. È un messaggio che vibra profondamente in un settore come quello artigiano, fatto di comunità, alleanze e trasmissione di saperi.
A dare concretezza a questo legame tra artigianato e cinema arriva poi la storia straordinaria dei gioielli di Paolo Penko, protagonisti agli Oscar 2025 con la nomination per il film ‘Conclave’. Nel suo laboratorio fiorentino, Penko e la sua famiglia hanno creato 530 pezzi, ciascuno frutto di una ricerca storica e simbolica meticolosa. Non semplici ornamenti, ma strumenti narrativi che arricchiscono la costruzione dei personaggi: croci, anelli, gemelli elaborati con tecniche antiche — traforo, bulino, cera persa, Penkato — e destinati a prendere vita sullo schermo grazie al lavoro della costumista Lisy Christl. È un esempio illuminante di come l’artigianato italiano sappia non solo dialogare con l’industria cinematografica internazionale, ma elevarla con il suo inconfondibile linguaggio.
Di botteghe in bottega si entra anche nel mondo raccontato da Rai Cultura con la serie I Mestieri del Cinema, una galleria di artigiani che vivono dietro le quinte ma determinano la qualità di ogni film. Rumoristi, truccatori, costumisti, tecnici, montatori, scenografi, animatori, stunt, casting director: professioni diversissime che condividono la stessa precisione, la stessa cura del dettaglio, la stessa poesia. Queste storie aprono un varco nella parte più nascosta e più viva del cinema: quella in cui l’immaginazione prende forma grazie al lavoro di una comunità di specialisti che si muove come in una grande bottega diffusa, analogica e digitale insieme.
Una bottega è al centro anche di ‘Pezzi unici’, la fiction della regista Cinzia TH Torrini che, nel 2019, ha portato in prima serata su Rai Uno il mondo delle botteghe fiorentine di Confartigianato. La serie non è stata soltanto un racconto televisivo, ma un’esperienza condivisa con quasi cento artigiani che hanno contribuito a rendere autentico ogni dettaglio. La Torrini ha recuperato storie vere, odori, gesti, ricordi dell’infanzia per trasformare l’artigianato in un luogo di rinascita per giovani fragili e disorientati. È uno dei rari casi in cui il piccolo schermo riesce a restituire l’artigianato come immaginario vivo, contemporaneo, capace di essere futuro. Il Premio Giano di Confartigianato è stato il riconoscimento naturale di questa operazione culturale.
Il viaggio si conclude con l’ampio affresco di Giovanni Boccia, Direttore della Fondazione Germozzi, che guarda all’artigianato come alla spina dorsale invisibile del cinema mondiale. Dai kolossal agli effetti speciali, dalle creature di Rambaldi alle luci scolpite da Storaro, dai laboratori di Los Angeles alle botteghe italiane: ogni forma cinematografica è, prima di tutto, un fatto artigiano. Boccia mostra come la tecnologia, lungi dal sostituire la mano umana, ne amplifichi il ruolo. In un mondo di pixel, intelligenza artificiale e modellazione digitale, ciò che fa la differenza rimane lo sguardo, la precisione, la sensibilità di chi lavora. È in questa continuità tra materia e immaginazione, tra gesto antico e innovazione, che si colloca il senso più profondo del cinema: un laboratorio globale in cui gli artigiani trasformano la realtà per permettere agli spettatori di sognare.
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