Tax gap Italia/Ue: 42,9 miliardi di maggiori tasse su imprese e cittadini
Fisco, burocrazia, costo del denaro, caro-energia e mancanza di manodopera qualificata: è questo il mix velenoso che continua a frenare i 4,6 milioni di micro e piccole imprese italiane impegnate a competere sui mercati globali, investire in sostenibilità e innovazione.
A dirlo è il Rapporto dell’Ufficio Studi di Confartigianato, presentato oggi all’Assemblea della Confederazione, che fotografa un habitat ostile per gli imprenditori che cercano di mantenere l’Italia agganciata alla crescita, in un contesto geopolitico complesso.
Negli ultimi 20 anni le economie emergenti hanno aumentato la loro quota sul PIL globale di 17,3 punti percentuali, mentre l’Unione europea ha perso 6,8 punti, segno di un progressivo indebolimento del blocco europeo nella competizione internazionale. A questo si aggiunge la crescente pressione commerciale proveniente dalla Cina: tra gennaio e agosto 2025 le importazioni italiane dal gigante asiatico sono aumentate del 24,5%, rispetto al +9,4% della media europea.
La pressione fiscale rimane uno dei principali freni allo sviluppo: nel 2025 il carico fiscale italiano raggiunge il 43,1% del PIL, 1,9 punti percentuali oltre la media dell’Eurozona, lo scarto più alto degli ultimi dieci anni. Un tax gap che vale 42,9 miliardi di euro di maggiore tassazione su famiglie e imprese, pari a 728 euro pro capite. L’Italia si conferma 6ª nell’Ue a 27 per peso del fisco.
A gravare ulteriormente è la tassazione sul lavoro, la più elevata in Europa: l’aliquota arriva al 44%, 7 punti sopra la media UE. Il cuneo fiscale sul lavoro si attesta al 47,1%, quarto dato più alto su 38 Paesi Ocse.
Come se non bastasse, nonostante il calo dei prezzi energetici nel contesto europeo, le imprese italiane continuano a pagare l’elettricità il 24,3% in più rispetto alla media UE: uno scarto che per le piccole imprese si traduce in 5,4 miliardi di euro di maggiori costi energetici rispetto ai competitor europei.
Anche il costo del denaro rimane un ostacolo significativo: a settembre 2025 i tassi sui nuovi finanziamenti alle imprese risultano maggiori di 188 punti base rispetto a giugno 2022. La restrizione creditizia colpisce soprattutto le piccole aziende: a giugno 2025 i prestiti alle micro e piccole imprese sono diminuiti del 5% rispetto al 2024.
Non va meglio sul fronte delle complicazioni della macchina amministrativa. Nel 2025 il 74% degli imprenditori italiani segnala la burocrazia come grave ostacolo, 8 punti sopra la media UE, collocando l’Italia al 5° posto tra i Paesi più penalizzati.
La qualità dei servizi pubblici resta tra le più basse del Continente: solo il 34% dei cittadini si dichiara soddisfatto (–21 punti rispetto alla media UE), mentre l’interazione digitale con la PA si ferma al 41,9%, al 25° posto dell’Unione.
Le imprese devono fronteggiare anche la carenza di manodopera qualificata: oltre un lavoratore su due (53,5%) con skill digitali elevate risulta di difficile reperimento.
Per il Presidente di Confartigianato Marco Granelli “è prioritario intervenire su riduzione della pressione fiscale, energia a costi competitivi, credito più accessibile, semplificazione amministrativa, formazione e competenze digitali. Una spinta fondamentale alle imprese artigiane e alle Pmi può arrivare dalla riforma della legge quadro per l’artigianato contenuta nel Ddl annuale Pmi all’esame del Parlamento e dalla costituzione della ‘nuova Artigiancassa’ che riporta in un ambito di interesse pubblico l’accesso al credito delle piccole imprese”.
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