26 Aprile 2011, h. 00:00

Dietrofront del Governo, tutta da riscrivere la legge di riforma delle spiagge italiane

La legge di riforma delle concessioni demaniali marittime sembrava vicina all’accordo sulle spiagge italiane. Dopo anni di protezionismo, l’Europa aveva chiesto all’Italia di liberalizzare il mercato introducendo il principio di evidenza pubblica per le concessioni tornate disponibili. Non necessariamente una gara d’appalto o un’asta da aggiudicarsi, come sostenevano gli euroscettici, ma l’esigenza di dare visibilità alle nuove opportunità presenti sul mercato. Le organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori del settore dopo un anno di lavoro e vari incontri con il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto, avevano trovato un’intesa sulla proposta presentata da Oasi Confartigianato, la sigla che rappresenta gli operatori artigiani. Improvvisamente, però, alcune sigle hanno fatto marcia indietro, facendo saltare un’intesa già raggiunta e pronta per essere presentata al Consiglio dei Ministri. Lo stesso ministro Fitto ha alzato le braccia, sostenendo che, considerando la posizione assunta da alcune sigle, sarebbe stato impossibile trovare una soluzione condivisa. L’orizzonte degli operatori balneari torna ad ingrigirsi, l’Europa ha aperto una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, mentre le soluzioni al vaglio per superare i paletti fissati dall’Europa non sembra possano riscuotere successo a Bruxelles. C’è chi propone l’uscita delle spiagge dalla direttiva Bolkestein, il quadro europeo per la semplificazione e la regolamentazione del mercato interno comunitario, e chi fa pressioni affinché venga chiesta un’ulteriore proroga dei termini imposti dalla Ue per la regolamentazione del mercato italiano. Una sola cosa è certa, la proposta di Oasi Confartigianato rispettava le indicazioni europee, piaceva al Ministro Fitto e al Governo, non condannava a morte certa il settore e aveva riscosso consensi tra tutte le sigle di rappresentanza. Se questa proposta verrà definitivamente accantonata, ci sono 28mila imprese del settore che rischiano il proprio futuro.

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