14 Dicembre 2005, h. 11:31

Tra le donne cresce la voglia di lavoro indipendente: in Italia 365.131 le imprenditrici artigiane. Ma conciliare lavoro e famiglia resta il principale problema

Tra le donne cresce la propensione al lavoro indipendente, in particolare nella piccola dimensione produttiva. Tanto che in Italia sono ormai 365.131 le imprenditrici al timone di un’azienda artigiana e danno lavoro a circa 300.000 addetti. Nel 1998 erano 287.000. Ma non diminuiscono i problemi delle ‘capitane d’impresa’: al primo posto rimane quello di riuscire a conciliare il lavoro e la famiglia.

La vocazione alle attività in proprio emerge dal primo Osservatorio nazionale sull’imprenditoria femminile promosso da Confartigianato e realizzato su un campione di 500 imprenditrici dal Centro Studi Sintesi.

L’indagine, che per la prima volta fotografa caratteristiche e aspettative delle piccole imprese ‘rosa’, viene presentata oggi a Roma alla Convention “Dentro le decisioni” organizzata da Donne Impresa Confartigianato, il Movimento costituito da Confartigianato per rappresentare le specifiche esigenze delle imprenditrici.

Le imprese artigiane a conduzione femminile sono prevalentemente costituite in forma di società di persone, localizzate nel Centro-nord e attive soprattutto nei settori manifatturiero (48,4%) e dei servizi alle persone (32,1%). Le donne sono sempre più protagoniste nelle loro aziende, 37 su cento sono titolari dell’azienda, il 56,6% è socia. Il 53% delle artigiane ha un livello di scolarizzazione medio-alto: il 40% delle artigiane possiede infatti un titolo di scuola media superiore e il 13% un diploma di laurea.

La regione a maggiore incidenza di imprese artigiane femminili, con il 22,4%, è l’Umbria, seguita da Marche (21,7%), Abruzzo (21,3%), Toscana (20,7%), Emilia Romagna (20,4%). In coda Puglia e Sicilia, rispettivamente con il 15,8 e il 16,2% di aziende condotte da donne.

“Nelle regioni a minore incidenza di imprenditorialità femminile – sottolinea Rosa Gentile, Presidente di Donne Impresa Confartigianato –  sono quattro i punti di criticità denunciati dalle donne per diventare più competitive e cercare nuovi mercati: l’informazione, l’accesso al credito, la formazione specializzata, l’innovazione tecnologica. Per questo le imprese femminili hanno bisogno di essere “accompagnate”, specialmente nella fase di start-up”.

Le imprenditrici dimostrano di essere ben consapevoli della scelta imprenditoriale. Infatti, soltanto l’8,4% si è messa in proprio a causa della perdita di un lavoro dipendente o per l’assenza di alternative. Invece, il 34% fa l’imprenditrice per continuare la tradizione di famiglia e il 30% ha fondato la propria ditta, soprattutto nel settore dei servizi. Fra i fattori determinanti la scelta di mettersi in proprio sono stati: il desiderio di autonomia (15,6%), il desiderio di un maggior reddito (13,7%), l’ambizione (11,8%), la possibilità di mettere a frutto le abilità e le conoscenze (8,3%) e di sviluppare un’idea imprenditoriale (8,2%).
E la determinazione delle imprenditrici è testimoniata anche dal fatto che il 61% ha utilizzato risorse proprie per finanziarie l’attività, mentre solo il 25,4%, e soprattutto nel Nord Est, ha fatto ricorso al credito bancario.

Tra i maggiori ostacoli denunciati dalle imprenditrici artigiane nelle fasi iniziali dell’attività vi sono la difficoltà di conciliare il lavoro in azienda con la famiglia e di imporre la propria figura in azienda. Acquisizione dei clienti, soprattutto nelle aziende dei servizi alle persone, burocrazia, difficile reperimento di manodopera specializzata, altri ostacoli che si frappongono, specie in fase di start-up.

Superata la fase d’avvio dell’impresa, le artigiane non differiscono molto dai colleghi maschi: si sentono infatti penalizzate dalla congiuntura economica sfavorevole (31,4%), dalla concorrenza interna ed estera (17,5%), dall’eccessiva burocrazia (13,6%) e dalla difficoltà di reperire manodopera qualificata (10,1%).

Inoltre, nonostante il 53% delle artigiane, negli ultimi due anni, abbia introdotto innovazioni di processo o di prodotto, permangono forti problemi nell’accesso all’innovazione tecnologica a causa dei costi troppo elevati, tanto che tre imprenditrici su quattro dichiarano di aver rinunciato per mancanza di incentivi in grado di alleggerire tali spese.

La certificazione risulta uno strumento maggiormente diffuso tra le imprenditrici per valorizzare l’immagine dell’azienda. Pian piano si fanno strada anche il bilancio etico e le politiche di buone prassi, applicate nel 14% dei casi: tutela dei lavoratori, dell’ambiente, qualità del lavoro, no allo sfruttamento del lavoro minorile.

Tra gli interventi sollecitati alle istituzioni dalle piccole imprese ‘al femminile’: finanziamenti agevolati (29,8%), riduzione della pressione fiscale (28,1%), sostegno per meglio conciliare lavoro e famiglia (21,8%), corsi di formazione e di aggiornamento (12,6%), assistenza nella fase di costituzione dell’impresa (6,7%).

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