15 Luglio 2014, h. 00:00

Il Governo al banco di prova delle semplificazioni

Una battaglia che i politici promettono da lungo tempo di affrontare è lo snellimento degli adempimenti amministrativi, quella selva inestricabile di procedure, documenti e carte bollate che rende inutilmente complicata la vita di cittadini e imprenditori. Secondo i calcoli dell’Ufficio studi di Confartigianato, le piccole e medie imprese hanno speso in oneri amministrativi, nell’ultimo anno, oltre 30 miliardi, circa 7000 euro per azienda. Il Doing business 2014, l’autorevole classifica della Banca Mondiale che misura la facilità del fare impresa nelle varie nazioni, pone l’Italia in 23° posizione, non a livello mondiale, ma tra i 28 Paesi dell’Unione Europea: solo uno scalino più in alto della Grecia. Il Governo Renzi ha deciso di affrontare questa emergenza e nel Consiglio dei Ministri del 13 giugno ha tracciato la rotta che intende percorrere. Il piano prevede il varo di due distinti strumenti legislativi: un decreto legge d’urgenza, il numero 90 – emanato sull’onda degli scandali dell’Expo a Milano e del Mose a Venezia – che ha già iniziato l’iter di conversione, e un disegno di legge che delega il Governo a riorganizzare la macchina pubblica, di cui non si conoscono i contenuti. Durante un’audizione presso la I Commissione affari costituzionali della Camera, il Segretario Generale di Confartigianato Cesare Fumagalli ha espresso il giudizio di Rete Imprese Italia sul percorso definito dal Governo e sulle singole misure di semplificazione contenute nel decreto legge 90 in materia di adempimenti amministrativi, appalti pubblici e giustizia civile. “Le misure vanno tutte nell’indirizzo giusto – spiega Fumagalli – ma il nostro giudizio è che così, slegate da un disegno di riforma complessivo, rischiano di essere inefficienti o di produrre pochi risultati tangibili per le imprese”. Se da un lato, il pacchetto di semplificazioni contenute nel decreto legge numero 90 ridurrà poco o niente la pressione burocratica che grava sulle imprese, dall’altro, l’articolo 28 del provvedimento rischia di produrre un pesante impatto negativo sulle PMI riducendo il supporto delle Camere di Commercio. Questi istituti, a cavallo tra pubblico e privato, hanno finora garantito servizi svolti a livello locale a costo zero per lo Stato, finanziati direttamente attraverso il contributo annuale versato dagli imprenditori. Il Governo ha previsto nell’articolo 28 di dimezzare tale contributo a partire dal nuovo anno. Il primo effetto del taglio sarà la riduzione degli interventi per il sostegno all’internazionalizzazione, il finanziamento dei Confidi, lo sviluppo delle reti d’impresa, misure i cui destinatari principali sono le piccole imprese. Per sapere come il Governo intende riorganizzare le Camere di Commercio, bisognerà attendere il disegno di legge delega. Per il momento c’è solo questo taglio, non su soldi pubblici ma su quelli privati. Un intervento che nessuno ha richiesto. “Siamo per un efficientamento, una razionalizzazione, una possibile riduzione di costi delle Camere di Commercio, ma non si può mettere il carro davanti ai buoi: cominciamo a tagliare e poi vediamo cosa se ne fa”, conclude il Segretario generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli.

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