STUDI – Cybersicurezza: il 15,8% delle imprese ha subito conseguenze da incidenti informatici
La transizione digitale amplia i rischi per i sistemi informatici delle imprese come anche recentemente evidenziato nella Relazione per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale del 29 maggio scorso.
Decisa la crescita della platea di famiglie e imprese utenti di servizi finanziari digitali tra il 2019 e il 2024 gli utenti di home e corporate banking sono aumentati del +25,8% e sfiora il raddoppio il peso dell’importo dei pagamenti con POS, che passa dal 8,3% al 15,7% sul valore aggiunto.
La cybersicurezza è un fattore strategico per la tutela dei processi di innovazione e crescita dell’economia ed in Italia l’83,1% delle imprese le attribuisce un’alta importanza, quota superiore al 71,1% della media UE, e seconda solo all’Irlanda. Tuttavia, solo il 32,2% adotta almeno 7 misure di sicurezza sulle principali 11 monitorate dell’Istat, quota inferiore rispetto al 38,5% dell’UE ma comunque in crescita rispetto al 28,0% del 2022.
Il 15,8% delle imprese ha subito incidenti di natura informatica che hanno portato come conseguenze negative l’indisponibilità dei servizi ICT, distruzione o danneggiamento dei dati e/o divulgazione di dati riservati. Nel confronto europeo la quota di imprese colpite è inferiore rispetto al 21,5% della media UE, al 25,1% della Germania, al 25,0% della Francia e al 15,9% della Spagna. In particolare, la conseguenza più frequente è l’indisponibilità dei servizi ICT soprattutto a causa di problematiche legate ad hardware e software: un ambito che necessita di maggior investimenti, per cui sarebbe prezioso il supporto mediante incentivazioni pubbliche, e che stimola l’offerta di servizi di gestione e manutenzione. Fortunatamente risulta ancora molto contenuta la quota di imprese che segnala danni collegati alla distruzione o danneggiamento dei dati ed alla divulgazione di dati riservati, un aspetto che concorre anche alla valutazione della reputazione delle imprese.
L’analisi è contenuta nel rapporto ‘Cybersecurity, un asset chiave per la trasformazione digitale delle imprese’ dell’Ufficio Studi presentato da Silvia Cellini nel corso dell’evento organizzato da Confartigianato che si apre oggi dedicato alla sensibilizzazione sulla cybersicurezza. Qui per scaricarlo. Il rapporto sottolinea altresì la crescente centralità della cybersicurezza nel contesto della trasformazione digitale, evidenziando alcune criticità soprattutto sul fronte delle competenze, degli investimenti e del trend dei reati digitali.
In un contesto di allentamento della stretta monetaria che sta portando ai primi segnali positivi sulla dinamica degli investimenti, si sottolinea che tra le imprese che hanno investito in digitalizzazione nel quinquennio 2019-2023 la sicurezza informatica è la prima tipologia di investimento di elevata importanza: si tratta del 35,5% delle imprese e la quota sale al 42,6% nel 2024. Questa crescente importanza è correlata anche con la diffusione dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale che – come delineato da una nostra recente analisi su IA e imprese - e che vede la sicurezza informatica come prima applicazione.
Sul fronte del capitale umano, il 22,8% delle imprese ha difficoltà nel reperire personale con adeguate competenze in materia di sicurezza informatica, quota che supera nettamente il 12% dell’UE ed è la più alta tra i principali paesi europei. In particolare, le imprese faticano ad assumere ben il 63,7% dei progettisti e amministratori di sistemi che comprendono i cyber security expert, mentre la difficoltà media è pari al 47,8% per il totale dei lavoratori.
La vivacità della digitalizzazione, a cui si associa la crescente importanza della sicurezza informatica, stimola l’economia digitale: i servizi di informazione e comunicazione, insieme alle sostruzioni, trainano il recupero dell’economia nel post pandemia con un aumento del 21,5% del valore aggiunto a prezzi costanti a fronte del +6,2% del totale economia. Risulta quindi stimolata la nascita delle imprese digitali operanti nei settori dei servizi internet, realizzazione di portali web, produzione software e commercio elettronico. Il quadro sulle imprese digitali in ‘L’artigianato italiano, pilastro dell’economia e della cultura. Si tratta a fine 2024 di 156.859 imprese, di cui 12.454 artigiane (7,9% del totale) che risulta particolarmente presente nei servizi non commerciali. Questo cluster di imprese cresce sia in un anno sia rispetto al 2019 a fronte della flessione del complesso delle imprese totali ed artigiane. Il quadro sulle imprese digitali in ‘L’artigianato italiano, pilastro dell’economia e della cultura’, Elaborazione Flash speciale per la IV Giornata della Cultura Artigiana dello scorso 19 marzo.
Una criticità è rappresentata dalla crescita dei reati informatici, che in quattro anni (2019-2023) sono aumentati del +45,5% a fronte del +10,0% dei delitti che colpiscono l’attività d’impresa..
Imprese che hanno investito in aspetti tecnologici della trasformazione digitale con un grado di importanza medio-alta
Quinquennio 2019-2023. % su imprese che hanno fatto investimenti - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
STUDI – Venti di guerra e instabilità geopolitica, rischi per 9,8% del made in Italy e 40,7% dell’import di energia
Con l’attacco di Israele all’Iran nella notte tra giovedì e venerdì scorsi si intensificano i venti di guerra che nell’estate del 2025 interessano i paesi del Medio Oriente, con alcune aree limitrofe - Egitto, Libia e Turchia - su cui si possono riverberare gli effetti della crisi mediorientale, i paesi coinvolti nella guerra russo-ucraina a cui si aggiungono India e Pakistan, interessati da scontri ai confini a inizio maggio.
L’acuirsi della crisi in Medio Oriente ha determinato un rialzo delle quotazioni delle commodities energetiche, accentuando l’incertezza sugli scambi internazionali, già elevata a causa dell’annunciata guerra dei dazi. Per l’Italia è a rischio la ripresa delle esportazioni avviata nel primo quadrimestre dell’anno.
L’Italia presenta una elevata dipendenza energetica dalle aree maggiormente interessate dai conflitti, con un import per petrolio greggio e raffinato e gas naturale da 17 dei 25 paesi in esaame che nel 2025 ammonta a 27,6 miliardi di euro, rappresentando il 40,7% degli acquisti di energia dall’estero. Si tratta di una dipendenza elevata, ma in discesa (era del 64,0% nel 2021) a seguito del taglio delle forniture di gas e petrolio russo.
Nel dettaglio dall’area in esame l’Italia nel 2025 (ultimi dodici mesi a marzo) importa 13,2 miliardi di petrolio greggio pari al 50,9% dell’import di questa commodity, di 8,8 miliardi di euro di gas naturale, pari al 37,3% del totale e di 5,7 miliardi di petrolio raffinato, pari al 47,0% del totale. Assenti gli acquisti di carbone ed energia elettrica.
Tensioni sui prezzi dell’energia e impatto sulla crescita - L’analisi di rischio effettuata dal MEF nel Documento di finanza pubblica indica che un livello dei prezzi che, dal terzo trimestre del 2025 a tutto il 2026, risultasse più elevato rispetto allo scenario di riferimento di 10 dollari al barile per il petrolio e di 10 euro al MWh del gas determinerebbe un impatto negativo sul tasso di crescita del PIL di 0,2 punti percentuali nel 2026 e di 0,1 punti nel 2027.
La spinta dei prezzi dell’energia determinerebbe un rialzo delle aspettative di inflazione e potrebbe determinare un rinvio dei prossimi tagli dei tassi da parte della BCE che metterebbe un freno alla ripresa degli investimenti, indicati in crescita dell’1,2% nel 2025 e dell’1,7% nel 2026 nelle ultime previsioni dell’Istat.
Nelle aree in guerra il 9,8% dell’export - Una crescente instabilità geopolitica potrebbe compromettere la ripresa dell’export, già a rischio nel caso di esito negativo dei negoziati sui dazi, e rallentare il tentativo di recupero della crisi della manifattura, sottolineato da Confartigianato nei giorni scorsi. I dati pubblicati dall’Istat venerdì scorso confermano nei primi quattro mesi del 2025 una dinamica tendenziale dell’export positiva (+2,5%), con un maggiore dinamismo dei paesi UE (+2,8%) rispetto ai paesi extra UE (+2,1%), manifestando una inversione di segno rispetto al -0,4% del 2024.
Nel complesso il rischio geopolitico determinato dai conflitti interessa un’area che complessivamente include 25 mercati - di cui 17 in Medio Oriente – e nella quale nel 2025 (ultimi dodici mesi a marzo) il made in Italy vale 61,4 miliardi di euro, pari al 9,8% dell’export totale e il 19,9% delle esportazioni dei paesi extra Ue. Nel dettaglio le esportazioni ammontano a 27,1 miliardi in Medio Oriente, a 21,9 miliardi nei tre paesi confinanti di Egitto, Libia a Turchia, 6,6 miliardi tra Russia, Ucraina e Bielorussia e 5,8 miliardi in India e Pakistan.
Nel complesso dei mercati in esame nel primo trimestre del 2025 si osserva un ristagno (-0,6%) dell’export, combinazione di diminuzioni del 14,7% nei paesi confinanti l’area mediorientale di Egitto, Libia e Turchia e del 10,4% sui paesi interessati dalla guerra russo-ucraina non sufficientemente compensati dagli aumenti del 13,7% in Medio Oriente, e del 6,0% in India e Pakistan.
I maggiori mercati del Medio Oriente sono Emirati Arabi Uniti con 8,4 miliardi di euro (+21,5% nel primo trim. 2025 vs +19,4% nel 2024), Arabia Saudita con 6,4 miliardi (+10,1% nel primo trim. 2025 vs +27,9% nel 2024), Israele con 3,4 miliardi (+12,0% nel primo trim. 2025 vs -1,1% nel 2024), Qatar con 2,3 miliardi (-18,3% nel primo trim. 2025 vs -9,4% nel 2024), Kuwait con 1,6 miliardi (+154,2% nel primo trim. 2025 vs -43,2% nel 2024) e Libano con 0,8 miliardi (-4,6% nel primo trim. 2025 vs -25,1% nel 2024).
Tra i paesi confinanti l’area di crisi mediorientale troviamo la Turchia con esportazioni per 16,8 miliardi di euro (-17,8% nel primo trim. 2025 vs +23,9% nel 2024), Egitto con 2,8 miliardi (-0,7% nel primo trim. 2025 vs -16,6% nel 2024) e Libia con 2,3 miliardi (-5,5% nel primo trim. 2025 vs +34,2% nel 2024). La guerra alle porte d’Europa in corso da oltre tre anni interessa Russia con l’export che vale 4,1 miliardi di euro (-17,1% nel primo trim. 2025 vs -7,2% nel 2024), Ucraina con 2,2 miliardi (+8,3% nel primo trim. 2025 vs +21,9% nel 2024) e Bielorussia con 0,3 miliardi (-23,2% nel primo trim. 2025 vs +23,7% nel 2024 mentre sul fronte dei conflitti nel continente asiatico troviamo l’India con 5,3 miliardi (+5,7% nel primo trim. 2025 vs +1,0% nel 2024) e il Pakistan con 0,5 miliardi (+8,7% nel primo trim. 2025 vs +9,0% nel 2024).
Export di 20,3 miliardi di euro in settori di MPI – I settori con le maggiori esportazioni nei mercati in esame sono quelli di macchinari e impianti con 14,3 miliardi di euro nel 2024 (23,2% dell’export nei 25 paesi in esame), altre manifatture con 9,7 miliardi (15,7%), metallurgia e metalli con 5,1 miliardi (8,2%) e moda con 5 miliardi (8,2%). Un terzo (33,0%) dell’export nell’area dei 25 paesi del Vicino Oriente e del Nord Africa è prodotto in settori di micro e piccola impresa, per un totale di 20,3 miliardi di euro. In questi comparti a maggiore vocazione di MPI, oltre alla moda troviamo le altre manifatture, dominate da gioielleria e occhialeria, con 8,4 miliardi di euro (13,7%), alimentari con 2,8 miliardi (4,6%), prodotti metallo con 2,5 miliardi (4,1%) e mobili con 1,3 miliardi (2%).
Export nei mercati coinvolti da conflitti per settore e totale settori MPI
2024, milioni di euro, Medio Oriente, Egitto, Libia, Turchia, Russia, Ucraina, Bielorussia, India e Pakistan, settori MPI: C10, CB, C16, C18, C25, C31 e C32
Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
STUDI – Come sta andando l’economia italiana alle porte dell’estate 2025 nell’analisi dell’Ufficio Studi su IlSussidiario.net
A fine mese l’economia italiana virerà alla boa di metà anno, in un contesto contrastato, caratterizzato da luci e ombre, esaminate nell’articolo I NUMERI DELL’ECONOMIA/ I rischi per l’Italia tra dazi, consumi e Pnrr a firma di Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio Studi di Confartigianato, pubblicato oggi su IlSussidiario.net.
Si delineano diffusi segnali statistici positivi su made in Italy, costruzioni e mercato del lavoro, mentre si riduce la pressione degli oneri finanziari. Gli aspetti più contraddittori, che delineano uno scenario in chiaroscuro, riguardano la ripresa dell’economia tedesca, il sostegno della politica fiscale, il clima di fiducia delle imprese e la domanda turistica. Il costo dell’energia elettrica, pur discendendo dai picchi di inizio anno, rimane su livelli molto elevati. Si attenua la stretta creditizia, ma rimane più severa per le piccole imprese. I rischi maggiori arrivano dall’impatto dei dazi, per ora sospesi fino al 9 luglio, da una crisi ancora profonda della manifattura, in particolare per meccanica e moda, e dalla debolezza dei consumi rispetto alle previsioni. Un freno è rappresentato dal ritardo nella messa a terra degli interventi del PNRR.
Le luci
Dopo la stagnazione (-0,4%) del 2024, torna a salire l’export che nel primo trimestre 2025 segna un +3,2%. Torna il segno positivo delle vendite del made in Italy nei tre principali mercati di Germania (+5,4% vs -5,0% del 2024), Francia (+1,8% vs -2,1% del 2024) e Stati Uniti (+11,8% vs -3,6% del 2024), anche grazie all’anticipo a marzo degli acquisti da parte delle imprese statunitensi (+41,2%) per evitare gli annunciati dazi. Qui il grafico dei principali mercati.
Il settore delle costruzioni manifesta una significativa resilienza, nonostante il venire meno del sostegno del superbonus. Nel primo trimestre del 2025 la produzione nell’edilizia sale del 3,4% su base annua a fronte del ristagno (-0,2%) registrato nell’UE, mentre il calo del 4,9% degli investimenti in abitazioni è più che compensato dall’aumento a doppia cifra (+10,6%) di fabbricati diversi da abitazioni e altre opere, posta sostenuta dagli interventi del PNRR.
Ad aprile 2025 il numero di occupati è stabile rispetto a marzo e in dodici mesi cresce di 282mila unità (+1,2%), grazie al traino dei dipendenti permanenti (+345mila pari al +2,2%). In salita le previsioni di assunzione monitorate dal sistema Excelsior che per il trimestre maggio-luglio 2025 segnano un incremento del 4,4% su base annua.
Giovedì scorso il Consiglio direttivo della BCE ha deliberato l’ottavo taglio dei tassi di riferimento della politica monetaria. Prosegue la discesa del costo dei prestiti per le imprese che ad aprile 2025 in Italia è pari al 3,89% (era 4,05% a marzo e 4,13% a febbraio), pur rimanendo di 226 punti base superiore al livello di giugno 2022, precedente dell'avvio della stretta monetaria deflazionistica. Nel primo trimestre del 2025 ritorna in positivo (+0,6%) la dinamica tendenziale degli investimenti in macchinari e impianti, dopo quattro trimestri consecutivi di calo: qui il grafico.
La zona grigia
Le previsioni di maggio della Commissione europea indicano per la Germania una crescita zero del PIL per quest’anno (era +0,7% nelle previsioni di novembre), collocando la maggiore economia europea pericolosamente vicina al terzo anno consecutivo di recessione. Un segnale di risveglio della manifattura tedesca si registra nel primo trimestre 2025, con la produzione che sale dell’1,8% rispetto al quarto trimestre del 2024, invertendo il segno dopo tre cali consecutivi. Effetti benefici potrebbero arrivare da una politica di bilancio più espansiva del nuovo governo Merz.
La politica fiscale per l’Italia, soggetta alla procedura per disavanzo eccessivo, è intonata alla prudenza e il limite alla crescita della spesa pubblica toglie spazio per interventi anticiclici. Secondo le previsioni della Commissione europea il deficit dal 3,4% del PIL nel 2024 scende al 3,3% nel 2025 e al 2,9% nel 2026, mentre il sentiero tracciato dal Governo nel Documento di finanza pubblica 2025 avvia la discesa del rapporto debito/PIL nel 2027.
Un impulso dato dalla politica europea di incremento della spesa per la difesa non appare sostenibile per la fragile finanza pubblica italiana. Gli esercizi di simulazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio indicano che, nello scenario di massima spesa per la difesa consentita dalla clausola di salvaguardia, nel 2041 il debito salirebbe al 138,9% del PIL, ben 25,2 punti superiore al 113,7% previsto nel Piano strutturale di bilancio varato a settembre.
Inoltre, gli effetti sull’economia sono depotenziati dall’elevata spesa per il personale della difesa (58,2% in Italia a fronte del 42,2% della media UE) e dall’alta quota di importazioni: dalla documentazione della Commissione europea si evince che dal 2022 oltre i tre quarti (78%) delle acquisizioni nel settore della difesa da parte degli Stati membri dell’Ue è stato effettuato presso Paesi terzi, quasi due terzi (63%) dai soli Stati Uniti. Come indicato anche dal Fondo monetario internazionale, una nuova misure di spesa per la difesa “dovrebbe essere pienamente compensata da ulteriori risparmi in altri settori”.
Il contesto internazionale incerto si riflette sulla instabilità dell’indice del clima di fiducia delle imprese che a maggio 2025 torna a salire, dopo tre mesi di cali consecutivi.
Si sgonfia la bolla energetica di inizio anno ma i prezzi dell’energia elettrica per le piccole imprese con consumi fino a 20 MWh all’anno rimangono i più alti d’Europa. Pur rallentando la discesa dei prestiti alle imprese (-1,1% a marzo, -2,1% nel mese precedente), persiste un calo più accentuato per le piccole imprese, “un andamento che merita attenzione” come segnalato nelle recenti Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia.
Nel primo bimestre del 2025 le presenze turistiche crescono (+1,7%), pur decelerando rispetto al trend del 2024 (+2,5%).
Le ombre
Da aprile incombono i rischi dello scoppio di una guerra dei dazi. Secondo le previsioni di primavera della Commissione europea nel 2025 il valore dell’export dell’Italia sale del 2,1% e nel 2026 del 3,3%, revisionando al ribasso le previsioni di autunno, elaborate prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti (+4,3% nel 2025 e +4,8% nel 2026). La produzione manifatturiera in Italia segna un calo su base annua per l’ottavo trimestre consecutivo, perdendo il 3,1% nel primo trimestre del 2025, con un calo più marcato per moda (-12,5%) e meccanica (-4,9%). Qui il grafico del trend della produzione per settore.
Nonostante il calo dell’inflazione e la risalita del potere d’acquisto, la spesa delle famiglie cresce meno delle attese. A maggio 2025 il tasso di inflazione, sia in Italia che in Eurozona, si ferma all’1,9% su base annua, mentre i consumi delle famiglie segnano un +0,2% rispetto al trimestre precedente e un +0,6% su base annua, in attenuazione rispetto al +1,5% del quarto trimestre 2024. Il trend in corso appare più debole delle previsioni di crescita per il 2025 (+1,2% secondo la Commissione europea a maggio). Nei primi quattro mesi del 2025 il volume delle vendite al dettaglio scende dell’1,2% su base annua, con un segnale congiunturale positivo nel mese di aprile (+0,5% rispetto a marzo).
Il PNRR sta sostenendo gli investimenti in costruzioni, ma un ritardo nell’attuazione degli interventi del Piano depotenzierebbe gli effetti sulla crescita. Come indicato nell’ultima relazione della Corte dei conti l’incremento di spesa registrato nel 2024 rappresenta solamente il 44% di quanto previsto per l’anno nel cronoprogramma finanziario. Tra le raccomandazioni della Commissione europea dello scorso 4 giugno è chiesto all’Italia di “accelerare l'attuazione del piano per la ripresa e la resilienza”.
Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati Banca d’Italia, BCE, Commissione europea, Corte dei conti, Eurostat, Fondo monetario internazionale, Istat, Mef, Unioncamere e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Upb