STUDI – Per 6,3 milioni di cittadini rapporto critico con gli uffici pubblici nel biennio della pandemia. Nel 59,8% dei disservizi influisce il lavoro a distanza
I risultati delle rilevazioni svolte da Confartigianato durante la pandemia avevano evidenziato diffuse difficoltà di relazione tra le imprese e gli uffici della Pa, sulle quali pesavano il distanziamento sociale, i limiti agli orari di apertura al pubblico e lo smart working, reso meno efficace dalla scarsa digitalizzazione e da carenze nella riorganizzazione dei flussi informativi (telefono, e-mail, ecc.).
I risultati pubblicati oggi dell'indagine condotta dall'Istat ‘Cittadini e lavoro a distanza nella Pa durante la pandemia’ confermano una diffusa presenza di criticità nell’organizzazione dei servizi pubblici nell’arco degli ultimi due anni, che ne condiziona la qualità. Su questo fronte, come ha evidenziato una nostra analisi pubblicata nei giorni scorsi, nel 2022 l’Italia si colloca al 24° posto in Ue per la soddisfazione per i servizi pubblici, davanti a Romania, Bulgaria e Grecia, per scivolare al 26° posto per fiducia nella Pa, davanti alla sola Grecia.
Il quadro che emerge dalla rilevazione dell'Istituto nazionale di statistica delinea pesanti lacune nell’offerta dei servizi della Pa, le quali, come è noto, influiscono negativamente sulla produttività delle imprese.
Il 31,6% dei cittadini che da maggio 2020 a gennaio 2022 si sono rivolti a un ufficio pubblico, quota che corrisponde a circa 6,3 milioni di persone, ha espresso insoddisfazione o ha constatato un peggioramento della qualità dei servizi offerti dalla Pa.
La maggiore criticità deriva dall’allungamento dei tempi di erogazione dei servizi (indicato dal 67,4% di coloro che sono rimasti insoddisfatti o hanno dichiarato un peggioramento della qualità dei servizi della Pa), seguito dalla difficoltà nel parlare con un operatore per avere indicazioni su come accedere al servizio (60%). Molto elevata è anche la quota di coloro che segnalano difficoltà di accesso agli sportelli fisici, totalmente o parzialmente chiusi (45,3%), o difficoltà di prenotazione per l’accesso ai medesimi sportelli (41,7%). Dalla rilevazione emerge una eccessiva diffusione dell’impossibilità di usufruire del servizio: nel 40% dei casi in cui si sono evidenziati insoddisfazione o peggioramento del servizio ricevuto, equivalente a 2,5 milioni di cittadini, il servizio non è stato erogato. In parallelo, nel 35% dei casi viene riscontrata la difficoltà di accesso ai servizi online.
Tra i residenti nelle regioni del Centro-nord è più frequente un allungamento dei tempi di erogazione dei servizi (72,9% contro 56,5% nel Mezzogiorno).
Il report dell’Istat evidenzia che tra gli occupati è più elevata la quota di quanti riferiscono la difficoltà nel parlare con un operatore (65,9% contro 50,4% dei non occupati) o lamentano difficoltà di accesso ai servizi on line (41,8% contro 24% dei non occupati).
Dall’analisi per tipo di canale utilizzato per rivolgersi agli uffici pubblici emergono ulteriori differenziazioni. La difficoltà a parlare con un operatore è più diffusa tra quanti hanno usato solo lo sportello online per contattare la PA, pari al 72,8% contro il 46,6% di chi ha usato solo lo sportello fisico. Le difficoltà di accesso ai servizi online hanno riguardato il 39,5% di chi ha usato solo questo canale a fronte del 13,5% tra quanti hanno usato solo lo sportello fisico.
Pesa il lavoro a distanza - A coloro che si sono rivolti ad almeno un ufficio della Pubblica Amministrazione e hanno espresso insoddisfazione o hanno rilevato un peggioramento del servizio erogato è stato chiesto se le criticità riscontrate dipendessero, a loro parere, dall’adozione del lavoro a distanza e, dunque, dalla minore presenza di dipendenti negli uffici di interesse. Per il 31,4% i problemi c’erano anche prima dell’adozione del lavoro a distanza, mentre per il 59,8% dei casi influisce il lavoro a distanza: per il 31,2% il lavoro a distanza è una concausa, per il 28,6% invece il disservizio è causato esclusivamente dal lavoro a distanza; il rimanente 8,8% non è stato in grado di esprimere un’opinione in merito.
Un peggioramento dei servizi erogati è stato riscontrato dal 25,5% di quanti hanno fatto ricorso a un ufficio pubblico. Questi cittadini ritengono che il peggioramento sia causato sia dal ritardo delle amministrazioni pubbliche nella implementazione di servizi on line (indicato dal 73,6%) che dall’impreparazione del personale della Pubblica Amministrazione nella gestione dei servizi online (77%).
Dall'indagine emergono alcuni aspetti positivi, tra cui quelli su ambiente e vivibilità delle città.
L’articolo I Numeri/ Dalla spesa pubblica al fisco, i tristi primati dell'Italia in Europa, pubblicato su IlSussidiario.net
Tipo di problema riscontrato nel rapporto con la PA tra maggio 2020 e gennaio 2022
% persone 18 anni ed oltre insoddisfatte o hanno dichiarato un peggioramento della qualità dei servizi della PA - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Criticità riscontrate e lavoro a distanza
% persone 18 anni ed oltre insoddisfatte o hanno dichiarato un peggioramento della qualità dei servizi della PA - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Soddisfazione per fornitura di servizi pubblici nei 27 paesi dell’Ue
febbraio 2022, % molto e abbastanza buona - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea
STUDI – Verso la fine della stagione del basso costo del credito? L’analisi nel report di Confartigianato
Ad aprile 2022 l’inflazione armonizzata si colloca al 7,5% nell'Eurozona e al 6,6% in Italia, per poco meno dei due terzi determinata dall’aumento dei prezzi dei beni energetici. Con l’obiettivo di frenare la dinamica inflazionistica, le autorità adottano una politica monetaria meno accomodante: la Bce prospetta nel terzo trimestre dell'anno un termine degli acquisto di titoli, con un successivo - probabilmente da luglio - primo aumento dei tassi di interesse.
Si delinea il rischio di una sincronizzazione pro-ciclica delle politiche economiche: in uno scenario di stagflazione, la politica monetaria restrittiva si potrebbe pericolosamente sincronizzare con una politica fiscale “prudente”, come indicato nelle raccomandazioni della Commissione europea pubblicate lunedì scorso, finalizzata a garantire una riduzione del debito.
Il prossimo aumento dei tassi di interesse si associa ad un debito del settore privato che nei 27 paesi dell’Ue, dopo diversi anni di graduale calo, nel 2020 è salito al 119 % del PIL, il livello più elevato dal 2015.
Nel corso del mese di maggio si è registrato un rialzo dello spread Btp-Bund; l’Italia, con una spesa per interessi di 65,9 miliardi nel 2022, pari a 3,5% del PIL, è più esposta alle tensioni sul costo del debito pubblico, le quali si ribaltano in un aumento dei costi di finanziamento delle banche e delle imprese, amplificando gli effetti restrittivi del rialzo dei tassi di riferimento della Bce.
La prossima scadenza di operazioni di rifinanziamento delle banche da parte della Bce potrebbe influenzare sia l’offerta di credito alle imprese che l’acquisto dei titoli di stato, un fattore particolarmente critico dopo il termine degli acquisti da parte della Bce.
Con il protrarsi del conflitto in Ucraina, sale l’incertezza e si riduce la propensione ad investire: secondo i dati pubblicati oggi dall’Istat, a maggio risultano in ulteriore calo i giudizi sugli ordini di beni strumentali, mentre le attese rimangono su livelli bassi.
Il contesto particolarmente complesso che caratterizza il mercato del credito è delineato nell’analisi contenuta nell’Elaborazione Flash ‘Le tendenze del credito alle imprese nella primavera del 2022’ pubblicata oggi dall’Ufficio Studi. Per scaricare il report accedi a 'Consultare ricerche e studi'.
Rallenta la crescita del credito alle imprese: secondo gli ultimi dati disponibili per classe dimensionale, a dicembre 2022 i prestiti alle micro e piccole imprese (MPI) salgono dell'1,1% a fronte del +1,7% del totale delle imprese. A livello territoriale si osserva un maggiore dinamismo del credito alle MPI nel Mezzogiorno e nel Centro. Per le imprese artigiane si registra una dinamica meno favorevole. Nel primo trimestre del 2022 sale in modo diffuso la quota di imprese che riportano difficoltà di accesso al credito.
Dopo la drammatica crisi di liquidità scatenata dalla pandemia, la gestione della finanza d’impresa rimane complessa: il 15,7% delle imprese riscontra criticità nella liquidità e gestione delle fonti di finanziamento tali da compromettere i propri piani di sviluppo nel primo semestre del 2022.
Gli interventi statali hanno sostenuto l’aumento dei prestiti ed attutito gli effetti recessivi: nei due anni dallo scoppio della pandemia (II trimestre 2020- I trimestre 2022 ) le istanze di fallimento sino sono ridotte del 24,8% rispetto alla media del biennio precedente.
Il flusso di nuovi prestiti deteriorati in rapporto a quelli in bonis rimane su livelli storicamente bassi, anche se il pieno impatto della pandemia sulla qualità del credito potrebbe verificarsi con ritardo, dopo la completa eliminazione delle misure di sostegno.
Serie storica della dinamica trimestrale dei prestiti bancari: piccole imprese e totale imprese
Marzo 2012 (inizio rilevazioni)-dicembre 2021. Variazioni % - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Banca d'Italia
Fallimenti 2011-2022
II trimestre 2011 – I trimestre 2022, cumulato ultimi quattro trimestri, dati grezzi - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
STUDI – Innovazione, sostenibilità e investimenti in macchinari: nel 2022 Italia +3,4% vs 2019, in calo in Francia (-4,5%) e Germania (-8,3%)
La recente pubblicazione dei dati dell'Istat sull'innovazione delle imprese, aggiornati al triennio 2018-2020, evidenzia come il crollo dei ricavi e la drammatica crisi di liquidità causati dall'emergenza sanitaria ha ridotto pesantemente la propensione a innovare delle imprese, soprattutto - come indica il report dell'Istat - per le medie e grandi imprese.
I segnali di resilienza delle piccole imprese - L'indagine evidenzia una maggiore resilienza delle piccole imprese relativamente alla capacità di sviluppare e introdurre innovazioni con successo, con la quota delle grandi imprese in calo di 6,2 punti a fronte della riduzione di 3,8 punti delle piccole imprese.
Nel contesto di un calo generalizzato degli investimenti nell’innovazione, si rafforza la componente più radicale degli innovatori, quella composta da imprese che sviluppano e vendono prodotti innovativi per il mercato e originali rispetto ai prodotti delle imprese concorrenti. Questi innovatori costituiscono il 14,6% delle imprese e la quota aumenta di oltre sei punti percentuali rispetto al periodo precedente. L’aumento è più marcato per le piccole imprese, con la quota che raddoppia, passando dal 6,6% al 13,6%.
Mentre nel 2020 le grandi imprese registrano una caduta del fatturato derivante dalla vendita di prodotti innovativi di oltre 13 punti percentuali, si osserva una diversa tendenza per le piccole imprese, che sostanzialmente mantengono il fatturato associato alla vendita di prodotti innovativi (-0,7 p.p.), e addirittura aumentano quello del fatturato derivante da prodotti originali (+1,9 p.p.).
L’intensità di innovazione, calcolata come spesa per le attività innovative per addetto, si è ridotta sensibilmente: in media è stata pari a 6.900 euro per addetto contro i 9.000 euro per addetto del 2018, pari al -23%. La spesa per addetto si riduce soprattutto nelle grandi imprese (7.400 euro contro 9.800 del 2018, pari al -25%) e in quelle di media dimensione (5.900 euro contro 8.300 del periodo precedente, pari al -29%), mentre si osserva un calo più contenuto nelle piccole imprese (6.900 euro contro 8.200, pari al -16%).
Italia leader europeo per investimenti in macchinari - La voce maggiormente rilevante della spesa per l’innovazione nelle micro e piccole è quella degli investimenti in macchinari e, utilizzando i dati delle previsioni macroeconomiche della Commissione europea pubblicati la scorsa settimana, ne valutiamo l’andamento nel contesto internazionale.
L'Italia è l'unico tra i maggiori paesi Ue che già nel 2021 recupera i livelli pre-pandemia degli investimenti in macchinari che nel 2022 registra un ulteriore aumento che colloca questa voce al di sopra del 3,7% rispetto al livello del 2019, a fronte del ritardo del 4,5% della Francia e dell'8,3% della Germania.
Nel più lungo periodo, tra il 2015 e il 2022, gli investimenti in macchinari salgono di limitato 3,8% in Germania, aumentano dell'11,5% in Francia, ritmo di crescita che raddoppia in Italia, arrivando al +23,6%. Su questo buon andamento influisce il sostegno degli credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi, come evidenziato in nostre precedenti analisi.
Gli effetti dell’introduzione di nuovi macchinari sono molteplici, fortemente orientati alla sostenibilità: Aumenta la produttività del lavoro, sale la propensione ad innovare delle imprese che investono, mentre si rafforza la qualità e quantità della domanda di lavoro; in parallelo le nuove matrici tecnologiche nelle imprese aumentano l'efficienza energetica, riducendo la domanda di energia e le emissioni di CO2.
L’analisi del trend degli investimenti in macchinari sarà uno dei temi del report sulla meccanica che l’Ufficio Studi presenterà il prossimo 9 giugno al Villaggio Confartigianato al MECSPE 2022.
Investimenti in macchinari nei maggiori paesi Ue 2015-2022
2015-2022, valori a prezzi costanti, indice 2015=100 - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea
Investimenti in macchinari rispetto i livelli pre-pandemia nei maggiori paesi Ue
2019-2022, var. % cumulata, valori a prezzi costanti - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea
STUDI - Bolletta energetica al 3,2% del PIL, +1,9 punti in 12 mesi, l’incremento più elevato di sempre
Le previsioni di primavera della Commissione europea pubblicate la scorsa settimana indicano per il 2022 una crescita del PIL dell’Italia del 2,4%, correggendo al ribasso di 1,9 punti il +4,3% stimato lo scorso novembre. La revisione è di 1,6 punti per le stime di crescita del PIL reale nell'UE, che è ora prevista al 2,7% per il 2022, rispetto al +4,3% indicato sei mesi fa.
Lo spettro della stagflazione - una recessione accompagnata da inflazione - è delineato negli scenari alternativi contenuti nel report della Commissione, uno avverso con un maggiore aumento dei prezzi delle materie prime energetiche e uno grave, caratterizzato dal taglio dell'approvvigionamento di gas dalla Russia. In quest'ultimo scenario più severo, il tasso di crescita del PIL nell’Eurozona sarebbe di circa 2,5 punti percentuali al di sotto del valore di base previsto nel 2022, mentre l'inflazione aumenterebbe di 3 punti percentuali al di sopra della proiezione di base.
E’ ampia la variazione dei prezzi delle commodities energetiche sottostanti alle previsioni dello Spring 2022 Economic Forecast: nel 2022 il gas naturale passa dai 49,49 euro/Mwh delle previsioni di novembre 2021 ai 97,83 euro/Mwh di maggio 2022 (+97,7%), l'elettricità passa dai 130,72 euro/MWh ai 234,31 euro/Mwh (+79,2%) mentre il barile di petrolio passa dai 68,1 euro ai 95 euro (+39,5%). Queste oscillazioni nelle stime evidenziano l’amplificazione, causata dalla guerra, degli effetti della crisi energetica scoppiata lo scorso anno.
Uno dei canali di trasmissione degli effetti recessivi è quello del saldo del commercio estero. L'esame dei dati pubblicati martedì scorso dall'Istat evidenzia che a marzo 2022 il saldo tra export e import diminuisce di 37,4 miliardi di euro, variazione interamente spiegata dall’interscambio di beni energetici. Su base annua le importazioni di energia salgono a 77,5 miliardi di euro mentre l’export sale a 17,9 miliardi di euro, determinando una bolletta energetica di 59,6 miliardi di euro, pari al 3,2% del PIL, un valore che non si misurava da otto anni, pur rimanendo (per ora) al di sotto del massimo storico del 4% registrato dieci anni fa (maggio 2021). In soli dodici mesi il saldo import-export di energia peggiora di 37,8 miliardi di euro, quasi due punti di PIL (1,9) in più, l’aumento più ampio su base annua mai registrato.
I prezzi all'importazione di petrolio greggio e gas salgono ai massimi storici, segnando a marzo 2022 un aumento tendenziale dell'84,2%, in leggera decelerazione rispetto al +103% di febbraio.
Sulla dilatazione del deficit del commercio con l'estero di beni energetici contribuisce il forte aumento delle importazioni di energia elettrica, incentivato dall'aumento dei costi di produzione nazionale, su cui pesa l’alta dipendenza dal gas. Negli ultimi dodici mesi il valore dell'import di elettricità sale del 309,4% su base annua, salendo al massimo di 7,5 miliardi di euro (circa tre volte e mezzo i 2,3 miliardi di euro della media del triennio 2018-2020). Va ricordato che, in relazione alla composizione dei paesi fornitori, il 45,4% dell’energia elettrica che importiamo è prodotta da centrali nucleari.
L’analisi dell’Ufficio Studi nella rubrica ‘Imprese ed energia’ su QE-Quotidiano Energia.
Bolletta energetica negli ultimi trent’anni: 1993-2022
gennaio 1993-marzo 2022, cumulato 12 mesi in % del PIL, PIL 2022: Spring 2022 forecast - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat e Commissione europea
Dinamica prezzi importazione di petrolio greggio e gas naturale
gennaio 2006-marzo 2022, var. % rispetto 12 mesi prima - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
STUDI – Le sfide della primavera 2022 per le imprese e i giovani, tra crisi energetica e guerra nel cuore d'Europa. Highlights del Report Giovani imprenditori
Oggi, nel corso della Convention 2022 del Movimento Giovani Imprenditori di Confartigianato in programma a Roma, è stato presentato il report ‘Imprese e giovani: le sfide della primavera 2022, tra crisi energetica e guerra nel cuore d'Europa’.
Nel 2021 l'Italia è prima in Ue per numero di imprenditori e lavoratori autonomi under 35 che sono 694 mila. Nel dettaglio a fine 2021 le imprese con a capo un giovane under 35 sono 537.915 e rappresentano l'8,9% del totale delle imprese: oltre un quinto (22,9%) sono artigiane e pari a 123.321 unità ed il peso dei giovani è più alto in quanto pari al 9,6%. Il quadro sull’imprenditoria giovanile per territorio nell’Appendice statistica curata dall’Osservatorio MPI Confartigianato Lombardia. Per scaricare il report e l’appendice accedi a 'Consultare ricerche e studi'. Qui le pubblicazioni dell’Ufficio Studi.
Giovani imprese nel 'secolo dell'incertezza', con dieci crisi in un ventennio - Notevole la sfida per le imprese guidate da giovani, operanti in un'era caratterizzata da turbolenza. In meno di un quarto di secolo si susseguono dieci gravi crisi. Dalla crisi terroristica (2001) alla grande crisi nata dalla finanza e diffusa all'economia reale (2008-2009), seguita dalla crisi del debito sovrano (2011-2013), la prima fase della crisi russo-ucraina (2014), la pandemia globale (2020), le strozzature lungo le filiere globali e l'escalation dei prezzi delle commodities (2020-2021), lo scoppio della crisi energetica (2021) per arrivare all'invasione dell'Ucraina (2022), eventi trasversalmente attraversati da una progressiva crisi climatica e un ritorno dell'inverno demografico.
Siamo passati dal 'secolo breve' al 'secolo dell'incertezza'. In Italia negli ultimi 14 anni (2008-2021) si sono registrati 6 anni di recessione, mentre nei precedenti 47 anni (1961-2007) solo 2 furono caratterizzati da un caduta del PIL reale.
Giovani imprenditori al centro del cambiamento - Dall’analisi dei dati della rilevazione svolta dai nostri osservatori in rete a inizio 2022 si osserva una maggior propensione da parte dei giovani imprenditori artigiani a reagire e a voler adottare cambiamenti per restare protagonisti del mercato di oggi e di domani (61,4% vs. 55,0% del totale). Le azioni di sviluppo verso cui sono maggiormente orientati sono: l’attivazione di nuovi canali di vendita, la produzione di nuovi prodotti e l’offerta di nuovi servizi e il miglioramento della qualità del personale.
Mercato del lavoro - La ripresa in corso, seppur rallentata dalla pressione sui costi di produzione delle imprese e dal calo dei consumi determinato dall’inflazione, arrivata ad aprile 2022 al 6%, ha riverberato effetti positivi sul mercato del lavoro: a marzo 2022 gli occupati recuperano il livello pre-crisi di febbraio 2020, precedente allo scoppio dei contagi da Covid-19, registrando un modesto +0,1% e cumulando 18 mila unità in più nei 25 mesi di pandemia. Il recupero è più marcato per l’occupazione dipendente che segna il +1,3% (+233 mila unità) mentre persiste il forte ritardo del lavoro indipendente, in calo del 4,1% (-215 mila unità).
Nella ripresa della domanda di lavoro sono protagoniste le Micro e piccole imprese (MPI) : il saldo tra le attivazioni e le cessazioni nel 2021 è pari al 67,1% del totale, risultando superiore di ben 17,9 punti percentuali rispetto al 49,2% che tali imprese rappresentano sullo stock di posizioni lavorative dipendenti. Inoltre, nelle MPI si privilegia il lavoro più stabile: tali imprese rappresentano infatti l’81,4% delle posizioni di lavoro create a tempo indeterminato.
La crisi del lavoro conseguente alla pandemia mostra per i giovani una evoluzione diversa rispetto alle precedenti recessioni. Gli occupati under 35 aumentano di 140 mila unità nei 25 mesi che intercorrono dallo scoppio della crisi (febbraio 2020-marzo 2022), mentre scendono i senior, delineando uno scenario completamente diverso rispetto alle precedenti fasi recessive. Nei 25 mesi successivi allo scoppio della Grande crisi (2008-2009) l’occupazione degli under 35 crollò di 947 mila unità; analogamente, a due anni circa dall’innesco della crisi del debito sovrano (2011-2013), si registrò un calo di 814 mila giovani occupati.
Il tasso di occupazione under 35 nei territori - A livello territoriale la dinamica 2021-2019 (anno pre-crisi) del tasso di occupazione under 35 permette di rilevare che a fronte di un ritardo per l’Italia di 0,7 punti percentuali, tra le regioni recuperano quanto perso causa pandemia Friuli-Venezia Giulia (+2,1 punti percentuali), Campania (+1,0 punto), Puglia (+0,8 punti), Abruzzo (+0,8 punti), Liguria (+0,4 punti) e Molise (+0,1 punti) mentre restano in forte difficoltà Lombardia (-3,2 punti) e Provincia Autonomia di Bolzano (-3,9 punti) che chiudono la classifica. A livello provinciale le migliori performance di recupero si rilevano per Frosinone (+9,1 punti), Barletta-Adria-Trani (+8,3 punti) e Pistoia (+7,3 punti) e quelle peggiori, lontane e sotto i livelli pre-crisi, per Parma (-7,3 punti), Padova (-7,5 punti) e Massa-Carrara (-11,3 punti).
Le criticità: Neet, emigrazione e demografia - Nel 2021 i Neet sono il 23,1% dei giovani tra i 15 e i 29 anni, quota che colloca il nostro Paese al primo posto nell'Unione Europea dove la media è del 13,1%. Il segmento più critico è rappresentato da Neet inattivi: allargando l'analisi agli under 35, i dati di dettaglio per condizione professionale disponibili al 2020 indicano che 1 milione 114 mila Neet non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare, il valore massimo del decennio.
L’Italia è caratterizzata dal fenomeno crescente della “fuga di giovani cervelli”: in 5 anni (2016-2020) tra i giovani italiani under 40 laureati gli espatri superano i rimpatri di 65 mila unità. Tra 2011 e 2020 il saldo migratorio con l'estero di questa fascia di età è negativo e crescente e si mostra negativo in tutte le ripartizioni anche se il Centro-Nord registra l’apporto positivo di giovani laureati del Mezzogiorno.
Le previsioni demografiche segnalano una diminuzione ed invecchiamento della popolazione italiana, la quale nei prossimi 20 anni (2022-2042) scende del 5,3% con i giovani under 35 in calo del 14,2%, mentre la classe 35-64 anni si riduce del 20,5%, a fronte dell’aumento di oltre un terzo (+34%) degli anziani con 65 anni ed oltre. Il cambiamento demografico influisce sugli start-up di impresa, sul tasso di innovazione e di crescita della produttività.
Formazione e rapporto scuola-lavoro - Per favorire l'occupazione è necessario migliorare il rapporto tra scuola e impresa. In Italia nel 2021 solo il 5,2% dei giovani italiani occupati under 30 è in percorsi di formazione, una quota che colloca il nostro Paese al 22° posto in Ue a 27, risultando solo un quinto del 24,4% della Germania e un terzo del 15,2% dell'Ue.
La formazione nelle imprese è fondamentale per perseguire gli obiettivi di qualità del prodotto e miglioramento della produttività: la metà (50,3%) delle imprese che effettuato attività di formazione del personale e la tipologia maggiormente diffusa è il training on the job (21,6%), con un ruolo chiave dell'apprendistato, una tipologia contrattuale maggiormente diffusa nelle imprese artigiane di cui rappresenta il 10,1% delle assunzioni del 2021, quota doppia rispetto al 5,4% delle imprese non artigiane.
Le transizioni - I processi di transizione digitale sono accompagnati dall'offerta di servizi di imprese specializzate che in larga parte sono di piccola dimensione. Nel I trimestre 2022 sono 146.583 imprese digitali - che sviluppano software, offrono servizi informatici e per il web e vendono esclusivamente online - di cui 11.615 artigiane (7,9%) e mostrano una dinamica più vivace: in un anno le imprese digitali totali crescono del 4,3% a fronte del calo dello 0,3% per il totale imprese e crescono a doppia cifra (+14,6%) rispetto al periodo pre-pandemia, a fronte della sostanziale stazionarietà (-0,3%) del totale imprese.
Le rivoluzione green necessita di professionalità caratterizzate da una maggiore attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale, domanda accelerata dall’attuale crisi, con la conseguente necessità di risparmio ed efficienza energetica per cui si registra una richiesta più accentuata da parte delle imprese di minore dimensione e delle imprese artigiane. Nel 2021 le competenze green hanno elevata importanza per il 37,9% delle entrate delle imprese e la quota più alta è pari al 43,6% per le microimprese, seguito dal 37,8% delle piccole imprese mentre la quota minore è il 32,4% delle imprese medio-grandi; in particolare, l'artigianato mostra una quota del 41,1% che supera di 3,2 punti percentuali la media.
#wareconomy- le sfide della primavera 2022 - Con l’evolversi della crisi energetica, scoppiata nel 2022 e amplificata dallo scoppio del conflitto in Ucraina, si intensificano i segnali critici per l'attività delle imprese, dal crescente e divergente andamento dei prezzi dell’energia, al rallentamento dell’economia cinese, accentuato dai lockdown diffusi in diverse aree produttive del paese. Un prolungamento del conflitto e l’acuirsi della crisi energetica potrebbero compromettere gli eccellenti risultati della manifattura made in Italy degli ultimi anni, resi possibili dall’apporto delle micro e piccole imprese. Proprio l’Italia, con una più bassa dimensione media delle imprese (10 addetti medi per impresa) rispetto a Germania (media di 39 addetti) e Francia (media di 15 addetti) è la locomotiva della manifattura europea, registrando la maggiore crescita del volume di valore aggiunto, pari al +5,1% tra il 2016 e il 2021, a fronte del limitato +0,7% in Francia e del calo del 3% registrato in Germania.
La migliore performance è stata resa possibile dalla maggiore resilienza nella pandemia, con il valore aggiunto che nel 2021 recupera interamente (+0,3%) il livello del 2019, a fronte del ritardo del 5,1% della Francia e del 5,8% della Germania.
L’eccellente risultato è stato conseguito con un aumento di efficienza delle imprese italiane: nell’arco del quinquennio in esame, nonostante gli effetti disastrosi del contagio mondiale da Covid-19, la produttività della manifattura in Italia, valutata con l’indicatore del valore aggiunto per ora lavorata, sale del 5,2%, a fronte del +1,3% della Francia e dello 0,4% della Germania.
Questi risultati empirici contraddicono le tesi secondo la quale l’insufficiente crescita italiana va attribuita prevalentemente alla ridotta dimensione media delle imprese, già messa in discussione negli interventi di Confartigianato.
Le criticità di contesto - Il problema dell’Italia non sono i piccoli imprenditori ma l’ambiente che li circonda: l’Italia è ancora al secondo posto in Ue per spesa pubblica, salendo di cinque posizioni in un triennio, ma è al quart’ultimo posto nell’Unione europea per qualità dei servizi pubblici, mentre nel 2022 registra una pressione fiscale più alta di 1,8 punti di PIL rispetto alla media dell’Eurozona.
Sono proprio gli imprenditori più giovani, maggiormente orientati alle relazioni digitali, che sono penalizzati dalla bassa qualità dei servizi pubblici associata ad uno scarso utilizzo delle tecnologie digitali. Solo il 28% dei comuni consente all'utente di completare le pratiche amministrative e, se richiesto, di effettuare il pagamento on line, e crolla al 13% nel Mezzogiorno.
Imprenditori e lavoratori autonomi under 35 nei paesi Ue
Anno 2021. Valori assoluti - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Eurostat
STUDI – Bassa qualità dei servizi della Pa, ma è alta la spesa pubblica e la pressione fiscale. L’analisi di Confartigianato su IlSussidiario.net
Gli straordinari interventi messi in campo per contrastare la pandemia e la crisi energetica hanno dilatato a dismisura la presenza dello stato in economia. L'analisi del quadro di finanza pubblica aggiornato con le previsioni economiche di primavera 2022 della Commissione europea pubblicate lunedì scorso mostra che la spesa pubblica italiana nel 2022 supera i mille miliardi di euro, arrivando al 54,0% del PIL. Nel 2019, prima dello scoppio della crisi, il rapporto tra spesa e prodotto si fermava al 48,5% e collocava il nostro Paese al 7° posto nell’Ue, mentre quest’anno l'Italia, scalando cinque posizioni, sale al 2° posto dietro solo alla Francia, paese in cui si registra il massimo della spesa in rapporto al PIL, pari al 57% del PIL. In soli tre anni la spesa pubblica italiana è salita di 141,6 miliardi di euro, con un ritmo di 129 milioni in più al giorno. In precedenza, per cumulare un aumento di questo ordine di grandezza, erano stati necessari più di 13 anni: tra il 2006 e il 2019 la spesa era salita di 128,8 miliardi di euro.
Durante la crisi pandemica il livello della presenza statale in Italia ha superato paesi del Centro-Nord Europa con sistemi di welfare avanzati come la Finlandia, il Belgio, la Danimarca, la Svezia e l'Austria. A causa dell’elevato debito pubblico, l’Italia è al 1° posto in Ue a 27 per spesa per interessi, pari al 3,5% del PIL. Nel 2022 il costo per remunerare il debito pubblico italiano è di 65,7 miliardi, ampiamente superiore ai 57,5 miliardi di euro della spesa per interessi di Francia e Germania messe insieme.
L’analisi è proposta nell’articolo I Numeri/ Dalla spesa pubblica al fisco, i tristi primati dell'Italia in Europa a firma di Enrico Quintavalle, pubblicato oggi su IlSussidiario.net.
A fianco della dilatazione della spesa, si osserva il persistere di una elevata pressione fiscale. Su questo fronte va ricordato che alcune agevolazioni fiscali sono contabilizzate come spesa: il DEF 2022 ne documenta 30,8 miliardi di euro nel 2021, da cui discende una più bassa pressione fiscale effettiva. Il confronto internazionale, sempre basato sui dati dalla Commissione europea, evidenzia che per quest’anno il carico fiscale (tax burden) su cittadini e imprese italiani è previsto pari al 43,3% del PIL, superiore di 1,8 punti al 41,5% della media dell’Eurozona, con un tax spread che vale 32,8 miliardi di euro. Il nostro Paese, quindi, è al 4° posto in Unione europea per pressione fiscale, ma sale al 3° per prelievo fiscale sui consumi di energia e al 1° per tassazione del lavoro.
All’intensificazione della presenza pubblica non corrisponde una adeguata qualità dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione (Pa). Secondo l’ultima rilevazione di Eurobarometro pubblicata ad aprile dalla Commissione europea, nel 2022 l'Italia si colloca al 24° posto in Ue per la soddisfazione per i servizi pubblici, davanti a Romania, Bulgaria e Grecia, per scivolare al 26° posto per fiducia nella Pa, davanti alla sola Grecia. In chiave territoriale la qualità delle istituzioni è più bassa nel Mezzogiorno, come misurato dall’ultimo rapporto della Commissione europea sulla coesione economica, sociale e territoriale; nel ranking tra 234 regioni europee la peggiore è risultata la regione rumena di Bucarest Ilfov, seguita da Calabria e Campania.
Sulla bassa qualità dei servizi della Pa influisce uno scarso utilizzo delle tecnologie digitali. Secondo una recente analisi pubblicata da Banca d'Italia sul livello dell’informatizzazione delle Amministrazioni locali, solo il 28% dei comuni consente all'utente di completare le pratiche amministrative e, se richiesto, di effettuare il pagamento on line. La quota sale al 35% nel Centro-Nord mentre crolla al 13% nel Mezzogiorno.
Paradossalmente, nel pieno della transizione digitale, aumentano le difficoltà di relazione tra cittadini e gli uffici pubblici. Nel 2020 la quota di cittadini in coda per oltre 20 minuti agli sportelli dell’anagrafe dei comuni rilevata dall’Istat è del 28,4%, undici punti superiore al 17,4% di dieci anni prima, valore che sale al 31,8% nel Mezzogiorno. Paradosso nel paradosso, la lunghezza delle code non scende con una maggiore presenza di dipendenti: in Sicilia il rapporto tra dipendenti comunali e abitanti è il doppio che in Abruzzo e, parallelamente, è quasi doppia anche la quota di cittadini costretti a lunghe code agli sportelli.
La bassa performance delle amministrazioni locali meridionali può compromettere la destinazione del 40% delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nel Mezzogiorno. Nel merito la relazione del Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri specifica che la distribuzione territoriale delle risorse “dipende sia dall’effettiva adesione dei soggetti privati e pubblici potenzialmente beneficiari, sia dalla capacità progettuale e amministrativa delle amministrazioni regionali e locali”.
Nonostante i vistosi squilibri della presenza pubblica nell’economia, la manifattura italiana, caratterizzata da una diffusa presenza di micro e piccole imprese esposte alla concorrenza internazionale, registra una migliore performance rispetto ai competitor europei. Nell’ultimo quinquennio (2016-2021), l’Italia, con una più bassa dimensione media delle imprese, registra una crescita del volume di valore aggiunto manifatturiero del 5,1%, a fronte del limitato +0,7% in Francia e del calo del 3% registrato in Germania. Alla migliore performance ha contributo la resilienza durante la pandemia delle imprese manifatturiere italiane, il cui valore aggiunto nel 2021 recupera interamente (+0,3%) il livello del 2019, a fronte del ritardo del 5,1% della Francia e del 5,8% della Germania.
L’eccellente risultato è stato conseguito con un aumento di efficienza delle imprese italiane: nell’arco del quinquennio in esame, nonostante gli effetti disastrosi del contagio mondiale da Covid-19, la produttività della manifattura in Italia, valutata con l’indicatore del valore aggiunto per ora lavorata, sale del 5,2%, a fronte del +1,3% della Francia e dello 0,4% della Germania.
Questi risultati empirici contraddicono le tesi secondo la quale l’insufficiente crescita italiana vada attribuita prevalentemente alla ridotta dimensione media delle imprese. Al contrario, dovremmo considerare la maggiore crescita che il vitale sistema delle imprese italiane potrebbe generare con servizi pubblici al livello di quelli utilizzati dalle imprese francesi e tedesche e, in generale, con un contesto più favorevole al ‘fare impresa’.