STUDI - Le conseguenze economiche delle guerre: 171,4 miliardi di euro in tre anni
Lunedì prossimo saranno trascorsi tre anni dal 24 febbraio 2022, giorno in cui la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina. Da allora, sul fronte dell’economia si sono succedute una grave crisi energetica che nell’autunno del 2022 ha triplicato i prezzi dell’energia elettrica, la stretta monetaria più pesante della storia dell’euro, la caduta del commercio internazionale e le incertezze derivanti dallo scoppio del conflitto in Medio Oriente. Le conseguenze economiche delle guerre sono misurate nel Report ‘La congiuntura nei settori a inizio 2025. Focus su dazi Usa e crisi Germania’ presentato oggi dall'Ufficio Studi alla Consulta Categorie. Qui per scaricarlo.
Prima di esplorare il conto dei danni economici dei conflitti in corso, va doverosamente premesso che le guerre presentano sempre un conto inaccettabile di vite umane civili, oltre che militari. Si vedano i monitoraggi delle Nazioni Unite sulle vittime civili in Ucraina e su quella nella Striscia di Gaza.
Perso mezzo punto all’anno del PIL mondiale - Se confrontiamo le previsioni del Fondo monetario internazionale di ottobre del 2021, antecedenti allo scoppio della guerra in Ucraina, con i dati del World Economic Outlook pubblicato lo scorso gennaio, si calcola che tra il 2021 e il 2025 l’economia mondiale ha contabilizzato mezzo punto di minore crescita del PIL all’anno: a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +3,8% il ritmo della crescita mondiale si abbassa al +3,3%. La frenata è più marcata per l’Unione europea che, a fronte di un previsto tasso di crescita medio annuo del +2,6% realizza un più ridotto tasso del +1,6%.
Sull’abbassamento del sentiero di crescita pesano numerosi fattori. All’incertezza determinata dall’instabilità del contesto internazionale e il calo della fiducia delle imprese, si sommano gli effetti delle diffuse strette monetarie attuate dalle banche centrali per arginare lo shock inflazionistico innescato dalla crisi energetica, del crescente ricorso a misure protezionistiche, del calo del commercio internazionale nel 2023 e la frenata delle economie di Cina e Germania.
Le conseguenze delle guerre: l’impatto sull’economia italiana - Nel triennio 2022-2024 il complesso delle conseguenze economiche delle guerre si misura in 171,4 miliardi di euro – in media annua pari al 2,9% del PIL - conseguenti alle minori esportazioni nei paesi belligeranti e nella Germania caduta in recessione, i maggiori oneri finanziari per le imprese causate dal caro-tassi e il maggiore costo dell’energia importata. Va peraltro ricordato che, nonostante questi rilevanti impulsi recessivi, l’economia italiana ha mostrato una maggiore resilienza rispetto alle altre economie europee, cumulando tra il 2021 e il 2024 una crescita del PIL del 3,2%, migliore del +2,9% della Francia e della stagnazione (-0,1%) della Germania.
La composizione di minori esportazioni e di maggiori costi - Lo scoppio della guerra in Ucraina e l’inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia hanno determinato un pesante calo dell’export italiano verso i due paesi belligeranti. Tra il 2021 e 2024 l’Italia registra 16,6 miliardi di mancate esportazioni in Russia e Ucraina, una perdita valutata rispetto ad uno scenario di pace in cui, invece, la domanda dei due paesi si sarebbe sviluppata allo stesso ritmo dei mercati extra UE.
Una elevata dipendenza dalla Russia ha contribuito a far scivolare in recessione l’economia tedesca, con ricadute pesanti sulle vendite del made in Italy. Tra il 2021 e il 2024 l’Italia ha registrato una perdita di 22,9 miliardi di euro di esportazioni verso la Germania, valutata rispetto ad uno scenario di stabilità in cui, invece, la domanda del mercato tedesco si fosse sviluppata allo stesso ritmo dei restanti paesi dell’Eurozona.
L’elevata dipendenza energetica dell’Italia dalle importazioni e la spinta dei prezzi delle commodities hanno innescato un grave appesantimento della bolletta energetica. Se prendiamo a riferimento il livello normale di importazioni di energia del 3,5% del PIL rilevato nel 2021, l’Italia ha registrato un maggiore costo di acquisto di energia dall’estero per 76,3 miliardi di euro nel triennio 2022-2024. Nel corso della fiammata inflazionistica, in conseguenza di una escalation asimmetrica dei prezzi dell’elettricità in Europa, le micro e piccole imprese (MPI) italiane hanno pagato un pesante gap competitivo sul costo dell’energia elettrica rispetto a quello dei competitor europei. L'allargamento del conflitto nel Medio Oriente ha interessato un’area che è strategica per l'Italia per la fornitura di commodities energetiche: i paesi del Medio Oriente concentrano quasi un terzo (31,4%) delle forniture di energia all’Italia, mentre rappresentano un mercato che vale 25,9 miliardi di euro di esportazioni, pari al 4,1% del totale dell’export italiano.
La grave turbolenza dei prezzi dell’energia ha riportato ad un tasso di inflazione armonizzato a doppia cifra, arrivando al +12,6% nell’autunno del 2022. Per riportare la crescita dei prezzi sotto controllo, la Banca centrale europea innalzato il costo del denaro, con un aumento di 400 punti base in soli dodici mesi. Nonostante dall’estate scorsa la BCE abbia avviato l’allentamento monetario, nel triennio 2022- 2024 si registrano 55,6 miliardi di euro di maggiori oneri finanziari sulle imprese, mentre a dicembre 2024 il trend dei prestiti alle imprese rimane in territorio negativo, segnando una flessione del 2,3% (era -3,6% nel mese precedente). L’impatto è misurato dalla differenza tra il costo del credito effettivo rispetto a quello che si sarebbe ottenuto applicando i tassi di interesse vigenti a fine 2021. Il caro-tassi riduce la propensione ad investire, ostacolando il sistema delle imprese impegnate in una complessa doppia transizione, digitale e green.
Le conseguenze economiche delle guerre sull’economia italiana
Miliardi di euro cumulati 2022-2024 - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat, Banca d’Italia e Bce
STUDI – Germania gigante addormentato d’Europa. Nel 2024 persi 10 milioni € al giorno di vendite del made in Italy
La governance dell'Unione europea sta affrontando una complessa fase di cambiamento nelle relazioni internazionali, innescata dalla nuova presidenza degli Stati Uniti. Sullo sfondo le posizioni critiche dei due maggiori paesi dell’Unione: una crisi di governabilità in Francia e le incertezze sugli scenari in Germania dopo le elezioni di domenica prossima, 23 febbraio. Le elezioni federali per il rinnovo del Bundestag si tengono dopo due anni di recessione, mentre le previsioni di ripresa per quest’anno sono state riviste al ribasso. Le scelte di politica fiscale del prossimo Governo tedesco e l'evoluzione dell'economia della Germania sono determinanti per l'intera Unione europea e per l'Italia, il principale competitor della manifattura tedesca. Dopo la Brexit, l’economia tedesca ha consolidato la posizione di leadership europea, rappresentando oltre un quarto del PIL dell’Unione a 27.
L’analisi sull’economia della Germania e sull’export sul mercato tedesco è contenuta nella Elaborazione Flash ‘Made in Italy in Germania, il gigante addormentato d’Europa’ pubblicato oggi dall’Ufficio Studi. Qui per scaricarlo.
La crisi dell’economia tedesca - Il 2024 è stato il secondo anno consecutivo di recessione in Germania, con un calo del PIL dello 0,2%, dopo la flessione dello 0,3% registrata nel 2023. Era da oltre vent’anni (dal 2002-2003) che l’economia tedesca non registrava due anni consecutivi di recessione. Per il 2025 è prevista un ritorno ad una debole crescita (+0,3%), con le previsioni di gennaio 2025 del Fondo monetario internazionale che revisionano al ribasso la crescita di 0,5 punti rispetto alla previsione di ottobre 2024.
Tra il 2019 e il 2024 la Germania, dopo la Finlandia e l’Estonia, è il paese dell’Unione con la più bassa crescita del PIL (+0,4% in cinque anni). La politica economica non ha corretto questo trend, con la stretta monetaria più pesante della storia dell’euro accompagnata da una politica fiscale del Governo tedesco eccessivamente prudente. Tra i fattori di crisi dell’economia tedesca una bassa accumulazione di capitale privato e pubblico che influenza negativamente innovazione, twin transition (digitale e green) ed efficienza della Pubblica amministrazione. In Germania si è registrato un maggiore impatto dello shock energetico innescato dall'invasione dell’Ucraina, con una elevata dipendenza dal gas russo (65,4% dell’import nel 2021 vs 40,9% della media Ue). Pesa il più basso profilo crescita della Cina: dalla Germania il 42,4% dell’export europeo sul mercato cinese e nel 2024 si delinea un calo dell’export tedesco in Cina del 6,9% dopo la caduta dell’8,9% del 2023. Con la crisi demografica si acuisce la carenza di competenze, più elevata rispetto agli altri maggiori paesi europei.
La recessione nell’automotive - Nel 2024 la produzione della prima manifattura d’Europa perde il 4,8%, facendo peggio del calo del 2,5% della media Ue. Pesa il calo del 6,9% della produzione di autoveicoli, che in Germania rappresenta più della metà (52,9%) dell’occupazione europea del settore. Dal varo del Green Deal europeo, tra il 2019 e il 2024, la Germania ha perso il 18,1% della produzione di autoveicoli.
Il calo del made in Italy in Germania - Nel 2024 il mercato tedesco segna una flessione del 5,0% delle vendite del made in Italy a fronte della stabilità (+0,2%) nel resto del mondo: nell’ultimo anno le imprese italiane hanno perso oltre 10 milioni di euro al giorno di vendite sul mercato tedesco.
L’esposizione dei territori – Si osserva una maggiore esposizione sul mercato tedesco del Veneto, con esportazioni di prodotti manifatturieri in Germania che sono pari al 6,2% del valore aggiunto regionale, seguito da Piemonte con 6,1%, Emilia-Romagna con 6,0%, Trentino-Alto Adige con 5,9%, Friuli-Venezia Giulia con 5,5%, Abruzzo, prima regione del Mezzogiorno, con 1 5,2%, Lombardia con 4,6%, Umbria con 4,3% e Toscana con 4,1%. Le province più esposte, con peso delle esportazioni di prodotti manifatturieri in Germania sul valore aggiunto provinciale doppio rispetto alla media, sono: Chieti con 12,5%, Piacenza con 10,8%, Mantova con 9,5%, Reggio Emilia con 8,9%, Vercelli con 8,8%, Terni con 8,8%, Novara con 8,7%, Lecco con 8,6%, Bergamo con 8,6%, Frosinone con 8,5%, Cremona con 8,4%, Vicenza con 8,1%, Alessandria con 8%, Verona con 7,8%, Arezzo con 7,7%, Provincia Autonoma di Bolzano con 7,6% e Modena con 7,6%.
Il trend dell’export territoriale di macchinari in Germania – La domanda di beni di investimento nei paesi dell’Eurozona è penalizzata dalla stretta monetaria e nei territori specializzati nella produzione di macchinari si sta soffrendo la bassa domanda interna e il calo delle importazioni della Germania, di cui l’Italia e la prima fornitrice mondiale per questa tipologia di beni. Nei primi nove mesi del 2024, a fronte di un calo del 5,0% in media nazionale, le esportazioni di macchinari sul mercato tedesco scendono del 10,7% in Veneto e del 9,2% in Emilia-Romagna. Il calo è più contenuto (-2,9%) per la Lombardia, mentre si osserva una tenuta (+0,8%) in Piemonte. Tra le prime quindici province si registrano cali a doppia cifra per Reggio nell'Emilia con -18,5%, Padova con -18,2%, Verona con -15,9%, Modena con -11,4%, Brescia con -11,3% e Parma con -10,4%. A seguire, con cali più intensi della media, Bergamo con -9,7% e Vicenza con -6%, mentre flessioni più contenute si registrano a Varese con -2,5% e Milano con -0,6%. In controtendenza, aumento le esportazioni di macchinari in Germania a Treviso con +4,4%, Torino con +4,5%, Mantova con +5,1%, Bologna con +5,9% e Monza e Brianza con 8,3%.
Grado di esposizione sul mercato tedesco per regione
Ultimi 12 mesi a settembre 2024. % export manifatturiero su valore aggiunto 2022 - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Trend export macchinari in Germania nelle maggiori regioni e province
Primi 9 mesi del 2024. Variazione % tendenziale (regioni e province con % sul totale Italia) - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
AUTOTRASPORTO - Confartigianato Trasporti: le PMI protagoniste nel rinnovo flotte, ma senza fondi ad hoc la transizione resterà una chimera
Con la pubblicazione sul sito di RAM della graduatoria delle domande di incentivo per gli investimenti effettuati nel 2024 dalle imprese di autotrasporto emerge con chiarezza quanto Confartigianato evidenzia da tempo a tutti i tavoli governativi ed in ogni occasione pubblica: artigiani e pmi vogliono investire e decarbonizzare rinnovando il parco veicolare, riducendo le emissioni inquinanti e assicurando sicurezza stradale e sociale.
I dati resi noti dal MIT sull’ultimo ‘click day’ del 16 dicembre del fondo investimenti 2024 fanno registrare l’esaurimento dei 25 milioni di euro disponibili per l’acquisto di veicoli commerciali =>3,5 ton, sia diesel, con rottamazione, che ad alimentazione alternativa (C-LNG), senza rottamazione, oltre che di rimorchi e semirimorchi, nel giro di pochi secondi.
Nello specifico va sottolineato il successo della misura introdotta nel decreto ministeriale con l’appostamento sperimentale di una quota di 5 milioni di euro (sul totale di 25 milioni) dedicati all’acquisto di veicoli di ultima generazione euro 6 con contestuale rottamazione di veicoli ante euro 4. Allo stesso tempo, non si può non notare che l’insufficienza del fondo (andato esaurito in appena 4 secondi dall’avvio del click day) ha di fatto estromesso moltissime imprese dagli incentivi.
Tale misura, fortemente sostenuta da Confartigianato Trasporti e tutte le associazioni di UNATRAS, ha dimostrato ancora una volta (nel caso ce ne fosse bisogno) che “il cavallo beve e beve anche tanto, purtroppo è l’acqua che manca”.
A fronte di oltre un migliaio di richieste di incentivi pervenute, solamente il 20% risultano ammesse a contributo, dunque appare evidente che lo strumento del bando investimenti MIT (così come è congegnato) è da ripensare ed efficientare, perché anche se risulta molto richiesto dagli operatori, la maggior parte di essi non riesce ad accedervi, col rischio che diventi poco attrattivo nel prossimo futuro.
“È necessario che il Governo aumenti la dotazione finanziaria complessiva per gli investimenti nel rinnovo mezzi – afferma il Presidente di Confartigianato Trasporti Amedeo Genedani – prevedendo fondi ad hoc per almeno 100 milioni di euro all’anno, se si vuole davvero accompagnare le imprese altrimenti la completa transizione ecologica del settore rischia di rimanere una chimera. Come sostenuto nel corso della nostra ultima Assemblea nazionale alla presenza del Vicepremier e Ministro dei Trasporti Salvini – continua Genedani – il comparto Autotrasporto, costituito per la quasi totalità da artigiani e PMI, vuole traguardare la transizione, sta investendo per decarbonizzare, ma da solo non potrà farcela di fronte alle enormi sfide imposte da target regolamentari impossibili da raggiungere senza un piano di incentivi pubblici consistente e strutturale”.
STUDI – Bilancio 2024 in rosso per produzione moda (-10,5%) e meccanica (-6%). Il punto sulla crisi nel report di Confartigianato
Nell’ultimo scorcio del 2024 si accentua la fase congiunturale negativa nei settori della moda e della meccanica, mentre ad inizio 2025 le attese sugli ordini, pur rimanendo in negativo, registrano diffusi segnali di miglioramento, ma sono in forte calo le previsioni di assunzione, mentre è in corso un processo di selezione del tessuto imprenditoriale.
L’analisi delle tendenze dei due settori chiave del made in Italy ad alta vocazione artigiana è contenuta nella Nota ‘La crisi di Meccanica e Moda, a che punto siamo?’ pubblicata oggi a cura dell’Ufficio Studi in collaborazione con il Sistema Imprese di Confartigianato. Qui per scaricarla
La difficile congiuntura della manifattura è più marcata in due settori chiave del made in Italy, la moda e meccanica, maggiormente interessati dalla caduta della produzione nella manifattura. Il trend congiunturale a dicembre 2024 indica un peggioramento diffuso, con cali della produzione del 6,4% rispetto a novembre nella moda, del 5,6% nella metallurgia e metalli, del 4,6% nei mezzi di trasporto e del 2,5% nei macchinari.
Nel bilancio del 2024 la produzione manifatturiera scende del 3,7% rispetto il 2023, con i cali più ampi per mezzi trasporto con -11,3%, moda con -10,5%, macchinari e impianti con -4,8% e metallurgia e metalli con -4,6%. Nella media dei tre comparti di riferimento, la meccanica perde il 6,0% della produzione.
Nel dettaglio, nella moda il calo di produzione è più marcato per pelle (-17,0%), con una accentuazione per le calzature (-18,5%), a fronte di flessioni del 6,9% per il tessile e del 7,5% dell’abbigliamento. Nella meccanica pesa il calo del 29,1% della produzione di autoveicoli. La recessione nell’automotive colpisce un esteso indotto, dominato dai settori della meccanica: i prodotti in metallo determinano il 9,3% del valore aggiunto della filiera dei mezzi di trasporto su gomma, i macchinari il 6,9% e la metallurgia il 4,2%.
La selezione delle imprese – Sul fronte della demografia di impresa, nella fase post-pandemia si assiste ad un ritorno alla crescita delle cessazioni di impresa a fronte di un maggiore stabilità delle iscrizioni, che tra il 2021 e il 2024 porta ad una riduzione del 3,1% dello stock di imprese. Il fenomeno di selezione è più marcato nei settori della moda e meccanica: nel triennio in esame nei settori di moda e meccanica lo stock di imprese cala dell’8,8%, con una perdita di 21mila imprese, di cui oltre 10mila (pari al 50,5%) sono imprese artigiane. Nel triennio i due settori hanno perso 19 imprese al giorno, di cui 10 imprese artigiane.
I fattori critici - Nella difficile fase congiunturale della manifattura e nella più marcata crisi della moda e meccanica incidono numerosi fattori, tra cui dominano le tensioni geopolitiche che indeboliscono la ripresa del commercio internazionale, sui cui potrebbe agire da ulteriore freno una guerra commerciale innescata dai dazi USA. La spinta dei prezzi ha deteriorato il potere di acquisto delle famiglie e compresso la domanda di beni di consumo e di investimento, tra cui le autovetture, mentre la successiva stretta monetaria ha portato in territorio negativo il trend della domanda di investimenti in macchinari e impianti. La recessione in Germania e il basso profilo di crescita della Cina pesano sulla domanda di prodotti del made in Italy. Sulla filiera della meccanica pesano le incertezze del mercato dell’automotive nella difficile transizione alla mobilità elettrica. Le prospettive di una politica fiscale prudente, che deve mantenere entro il limite dell’1,5% la crescita annua della spesa pubblica primaria netta come richiesto dalla riforma del Patto di stabilità e crescita, riduce gli spazi per le politiche industriali anticicliche. Gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, da cui arriva un importante sostegno alla crescita dell’economia italiana, hanno un impatto più contenuto sulla manifattura.
Dinamica della produzione 2024 per macro settore
2024, var. % annua – in viola settori meccanica in arancio moda, media ponderata per totale meccanica - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
Dinamica della produzione 1991-2024 per meccanica e moda
2024, var. % annua, meccanica media ponderata Ateco 2007 CH, CK e CL, Moda CB - Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat
AUTORIPARAZIONE - Allarme di Confartigianato al Ministero dell'Ambiente: "Gestione e raccolta degli pneumatici fuori uso in grave emergenza"
"Permane una situazione generalizzata di inefficienza e discontinuità del servizio di raccolta degli pneumatici fuori uso (PFU), con tempi di attesa prolungati e quantitativi ritirati insufficienti. Gli autoriparatori-gommisti operano in una condizione di emergenza costante, con il rischio incombente del blocco ritiro PFU, in particolare nei periodi di cambio gomme stagionale". È l'allarme lanciato da Massimo Ruffa, Presidente di Confartigianato Autoriparazione, in una lettera indirizzata all'Ing. Luca Proietti, Direttore Generale Economia Circolare e Bonifiche del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Secondo Confartigianato, il problema delle giacenze di PFU ha raggiunto livelli critici, con oltre 450 tonnellate di pneumatici fuori uso inevasi presso le officine. "Questa situazione comporta non solo difficoltà operative ed economiche per le imprese, esponendole al rischio di sanzioni amministrative, ma ha anche gravi ripercussioni ambientali e sanitarie".
L'organizzazione sottolinea che il target aggiuntivo di raccolta attivato nel 2024 non ha permesso di smaltire i quantitativi pregressi, aggravando il problema su scala nazionale. "I nostri associati continuano a segnalare livelli di guardia insostenibili, con una situazione che richiede interventi strutturali e misure legislative adeguate per rendere efficiente il sistema di gestione e raccolta degli pneumatici esausti, garantendone trasparenza, tracciabilità e legalità".
Per affrontare l'emergenza, Confartigianato Autoriparazione propone di potenziare il Registro Nazionale Produttori e Importatori Pneumatici istituito dal Ministero, introducendo una funzionalità dedicata agli autoriparatori per la gestione delle richieste di ritiro PFU e il loro smistamento automatico ai Consorzi obbligatori. "La gestione centralizzata attraverso il Registro consentirebbe un controllo più efficace e trasparente, assicurando una regolamentazione chiara a beneficio dell'intera filiera". Inoltre, l'organizzazione suggerisce l'introduzione di un nuovo Extra Target di raccolta per alleviare le difficoltà operative delle imprese e ridurre l'accumulo di PFU nelle officine.
Parallelamente, Confartigianato rinnova proposte già formulate in precedenza, ribadendo la necessità di vincolare il meccanismo di raccolta alla regolarità degli operatori, evitando che i Consorzi effettuino ritiri presso soggetti non qualificati, al fine di contrastare l’abusivismo e la concorrenza sleale. Sottolinea inoltre l’importanza di intensificare i controlli sui flussi di pneumatici, con particolare attenzione al commercio online, per intercettare attività illecite e contrastare l’evasione fiscale. Infine, sollecita una revisione dei criteri di assegnazione dei quantitativi di PFU, affinché rispondano in modo più adeguato alle esigenze territoriali, superando accorpamenti poco funzionali dal punto di vista operativo. Confartigianato ritiene necessario garantire che il meccanismo di raccolta sia vincolato alla regolarità degli operatori, evitando che i Consorzi effettuino ritiri presso soggetti non qualificati, contrastando così l’abusivismo e la concorrenza sleale. Ritiene inoltre fondamentale intensificare i controlli sui flussi di pneumatici, con particolare attenzione al commercio online, per individuare flussi illeciti e contrastare l’evasione fiscale. Infine, sollecita una revisione dei criteri di assegnazione dei quantitativi di PFU, affinché rispondano meglio alle esigenze territoriali, evitando accorpamenti che risultano poco funzionali dal punto di vista operativo.
Confartigianato Autoriparazione auspica un intervento tempestivo del Ministero, coinvolgendo la categoria per definire soluzioni efficaci e sostenibili nell'interesse degli autoriparatori-gommisti, dell'intera filiera, della collettività e dell’ambiente.