Sistema creditizio e piccole imprese, un rapporto che va consolidato
Lo scorso 18 ottobre, presso la sede dell’Università Cattolica di Milano, è stata presentata la ricerca “Relazione tra banche e piccole imprese”, realizzata dalla stessa Università in collaborazione con il Crif. Alla presentazione hanno partecipato Matteo Morandi, responsabile del settore credito di Confartigianato Imprese, il prof. De Angeli dell’Università Cattolica ed i rappresentanti di Confindustria, del Crif, dell’ABI e di Unicredit. Il risultato della ricerca non lascia dubbi: più della metà delle piccole imprese intervistate, esattamente il 52,09%, vorrebbe maggiori informazioni da parte delle banche sulla recente normativa indicata da Basilea II, il nuovo accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche. Soprattutto per quanto riguarda il concetto di rating. Infatti, secondo quanto emerge dalla ricerca, il 50% delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese non ha ricevuto alcuna spiegazione sul rating, la valutazione sul rischio di credito determinato da fattori quantitativi, come il bilancio aziendale, fattori qualitativi, i prodotti e la concorrenza del mercato, e fattori comportamentali, come ad esempio il comportamento dell’imprenditore nei confronti del credito bancario. Di conseguenza, migliore sarà il rating e minore sarà la probabilità di insolvenza, con la banca che potrà quindi elargire un credito a condizioni più favorevoli. In definitiva, si può definire l’internal rating come un indice matematico-statistico che esprime la capacità dell’azienda di far fronte ai propri impegni nei tempi e nelle modalità stipulate con la banca. Diametralmente opposto è invece il giudizio delle piccole e medie imprese italiane sui risvolti dell’adozione di Basilea II. Infatti, se un’ampia porzione degli intervistati ritiene che cambierà poco o niente con la nuova normativa, un’altra fascia, soprattutto tra le imprese informate a tal riguardo, ritiene che qualcosa cambierà, e molto. Da qui l’esigenza manifestata da più imprese di cambiare i propri comportamenti nei confronti del sistema creditizio, distinguendosi in due categorie, “virtuose” e “adattive”. Se le prime tendono a riordinare se stesse (attraverso la capitalizzazione dell’impresa, la ristrutturazione del debito e la riorganizzazione dei sistemi produttivi, stringendo al tempo stesso rapporti con pochi e selezionati intermediari bancari), le seconde puntano a sfruttare al meglio la concorrenza del mercato bancario. Ma un dubbio emerge dalle PMI italiane, soprattutto per quanto riguarda il comportamento futuro del sistema creditizio nei loro confronti. Infatti, in molti ritengono che le banche, accogliendo le indicazioni di Basilea II, sarebbero indotte a ridurre il credito loro destinato, aumentandone al tempo stesso i tassi d’interesse. Soprattutto nei periodi di rallentamento economico generale o di un determinato settore imprenditoriale. Nonostante tale preoccupazione, le imprese intervistate hanno comunque apprezzato molti dei fattori scelti per la valutazione di rischio. Fra tutti, emergono dall’indagine il patrimonio d’impresa, la situazione economico-finanziaria ed il fatturato. Nel suo intervento, Matteo Morandi, responsabile del settore credito di Confartigianato, ha sottolineato, anche alla luce di quanto emerso dalla ricerca, come “la natura dialettica dei rapporti fra banche ed imprese, nonostante siano due sfere con interessi oggettivamente differenziati, non escludono comunque margini di miglioramento nei rispettivi ambiti”. Imprese artigiane e sistema creditizio hanno già incontrato due esempi di ottimo rapporto collaborativo. A riguardo Morandi ha aggiunto che “in tal senso possiamo portare ad esempio l’esperienza delle banche del territorio con natura giuridica di cooperative di Credito, come le banche popolari e le BCC, che negli ultimi tre decenni hanno svolto una funzione di oggettiva partnership con l’artigianato e la microimpresa. Oppure il primato rappresentato, in termini numerici e per volume di garanzie prestate, dai Confidi artigiani rispetto alle medesime strutture degli altri settori economici, come l’industria, il commercio e l’agricoltura. Attualmente, infatti, i Confidi di origine artigiana hanno in essere garanzie bancarie per oltre 8.500 milioni di euro a livello nazionale”, ha aggiunto Morandi. Che ha sottolineato come “le autorità competenti dovranno saper valorizzare la capacità dei Confidi nel favorire l’accesso al credito bancario di qualità da parte delle imprese artigiane e delle piccole imprese”. “Confartigianato – ha poi concluso Morandi – continua il suo impegno nel rivendicare la crescente importanza dell’imprenditoria artigiana quale grande utilizzatrice dei servizi bancari con comportamenti eticamente corretti”.
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Artigiani sempre più giovani ed innovativi
Gli artigiani si confermano imprenditori che puntano sull’innovazione nonostante rimanga forte l’attaccamento alle tradizioni e alle capacità manuali. Con un vero e proprio esercito di giovani imprenditori pronto a dare un futuro a quella che viene considerata la “spina dorsale” della produzione italiana. Questo è quanto emerge dal “2° Osservatorio sull’imprenditoria giovanile artigiana”, presentato lo scorso 13 ottobre in occasione dell’Assemblea dei Giovani Imprenditori di Confartigianato. Il quadro che emerge dallo studio, promosso dalla Confederazione, appare chiaro: il futuro dell’artigianato italiano sta nelle mani dei 625.224 giovani imprenditori, cioè di quelli fino ai 40 anni, che guidano le piccole imprese del Paese, soprattutto nel Nord. Sono infatti più del 18% del totale i giovani alla guida di aziende che operano in Lombardia, seguiti dagli imprenditori dell’Emilia Romagna e del Veneto. Se nel complesso, dal 2005 al 2006, i giovani artigiani con meno di quarant’anni sono aumentati in media dell’8%, non altrettanto si può dire di quelli che non raggiungono i 30 anni di età. In tutte le regioni si è infatti registrato un calo del 4,7%, con una sola, piccola eccezione: il Molise. Il 48,4% dei giovani, poi, sono alla guida di imprese di costruzioni. A seguire le aziende del comparto manifatturiero e dei servizi alle persone e ai cittadini. Il “2° Osservatorio sull’imprenditoria artigiana giovanile”, se da una parte ha sottolineato le dimensioni dell’esercito delle giovani leve, dall’altra ha confermato quanto sia importante, in termini di artigianato, tramandare i cosiddetti “segreti del mestiere” da padre in figlio. L’esatta metà dei nostri giovani imprenditori, il 50%, hanno infatti ereditato l’impresa da un familiare, conservando e facendo proprie le capacità e le tradizioni nate e cresciute dentro le botteghe artigiane. Grande tradizione quindi, ma anche e soprattutto tanta voglia d’innovazione, la prima delle chiavi di successo imprenditoriale per i giovani artigiani italiani. Ma anche la flessibilità e la capacità di rischio, oltre ovviamente al rapporto con i dipendenti e alla necessità di creare il migliore spirito di squadra aziendale. Il mondo della piccola impresa italiana però, soprattutto per quanto riguarda i giovani, non è tutto rosa e fiori, costretto com’è a fare i conti con una serie di fattori che ne intralciano l’attività. Se è vero che sono maggiori i lati positivi di quelli negativi, è pur vero che i giovani imprenditori devono confrontarsi con i problemi di natura ambientale, racket e criminalità organizzata, con i rischi economici legati all’imprenditoria, ma anche con i tanti adempimenti burocratici e fiscali. Basti un esempio. Gli oneri burocratici a cui sono sottoposte le piccole imprese incidono per il 12,4% sui costi aziendali. Da questo dato, importante per capire il prezzo pagato dalle imprese artigiane alla macchina burocratica italiana, nasce la richiesta dei nostri giovani di alleggerire la pubblica amministrazione, in termini di efficienza e di costi. Spesa pubblica che inevitabilmente grava sulla situazione fiscale della piccola imprenditoria, convinta, nel 28,9% dei casi, nel chiedere una sostanziale riduzione della pressione tributaria. Una richiesta sottolineata da Maurizio Del Tenno, Presidente dei Giovani Imprenditori di Confartigianato, in occasione dell’Assemblea Nazionale. “Proprio in questi giorni – ha affermato Del Tenno – il vice Ministro Visco ci ha ricordato che abbiamo raggiunto il livello massimo di pressione fiscale dal dopoguerra ad oggi, confermando quindi che si sta facendo poco per diminuire realmente la pressione fiscale”. A preoccupare i giovani imprenditori artigiani sono anche il sistema previdenziale, con il 62% degli intervistati convinti dell’inadeguatezza della loro futura pensione, ed il mercato del lavoro, con il 51% della piccola imprenditoria italiana che chiede una maggiore flessibilità, sia in entrata che in uscita. Potendo tornare indietro, il 66,6% degli intervistati ha risposto senza esitazione che confermerebbe la scelta imprenditoriale, grazie alla soddisfazione personale e alla passione che spinge i nostri giovani imprenditori, continuando a lavorare in autonomia e a puntare sulla propria creatività. Nessun dubbio, inoltre, se consigliare o meno la strada imprenditoriale anche ai propri figli. Il 60% degli intervistati ha infatti confermato che lo farebbe senza esitazione. Continuando a garantire così quella tradizione tramandata da padre in figlio che rappresenta l’elemento fondamentale per far crescere le piccole imprese del nostro Paese.