Revisione dell'auto? Si, grazie
La firma del Ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, sul decreto di adeguamento delle tariffe della revisione auto, mette la parola fine all’estenuante trattativa condotta dall’Anara di Confartigianato, per sbloccare il tariffario del servizio di revisione fermo al 1999. “Si passa dagli attuali 25,84 euro (poco più di 40 euro per i consumatori) a 45 euro (che diventano 63, considerate tasse e oneri vari) – precisa Roberto Landini Presidente Nazionale Anara –. E’ esattamente quanto avevamo chiesto, ma per arrivare a questo risultato la strada è stata lunga”. Per l’esattezza ci sono volute tre finanziare. L’ultima è stata quella buona: l’adeguamento era fissato entro il 31 gennaio 2007. Ma così non è stato. “L’iter è stato a dir poco accidentato – prosegue Landini –. Il Ministero dei Trasporti ha saltato l’appuntamento del 31 gennaio e ha predisposto il decreto al di fuori delle indicazioni della Finanziaria. Dopo di che è passato al Consiglio di Stato che l’ha rispedito indietro con una ventina di pagine di eccezioni, cosa che non succede quasi mai. Tra l’altro sono stati contestati due punti chiave: l’entità dell’aumento, e la proposta di adeguamento della tariffa con cadenza biennale. A questo punto il Ministero è stato costretto a riscrivere il decreto, depennando la voce dell’adeguamento. In più, per difendere la cifra concordata con le parti, ha stilato una nuova relazione dei costi che portano alla formazione della tariffa. Per la seconda volta ha inoltrato il decreto al Consiglio di Stato e nuovamente se lo è visto tornare in dietro. La motivazione è stata che le richieste del Consiglio non erano state ottemperate, pertanto le responsabilità passavano al Ministro”. Bisogna attendere i caldi estivi prima che il meccanismo torni a girare per il verso giusto. Ma ancora il 20 giugno questo è inceppato, tanto è vero che il Presidente dell’Anara Confartigianato e il Segretario Nazionale di CNA Autoriparazione, in rappresentanza di 4.000 dei 5.300 Centri autorizzati alle revisioni periodiche dei veicoli, inviano una lettera aperta al Ministro dei Trasporti. Di punta e di taglio ripercorrono la vicenda sottolineando tutti i passaggi, per concludere che l’unica cosa che manca a quella data è solo una firma, la sua. Che arriva il 12 luglio, quando il Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi sigla il Decreto, successivamente controfirmato dal Ministro Padoa-Schioppa. Dopo la pausa estiva sarà la volta del visto della Corte dei Conti, seguita della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Solo a quel momento le officine autorizzate alla revisione potranno applicare le nuove tariffe. Finalmente. Nonostante le continue partenze e le brusche frenate, sui prossimi passi del decreto non sembrano profilarsi nubi minacciose. Per settembre è atteso il via definitivo. “Si, ma non è finita la guerra. Si è chiusa una battaglia. Adesso bisogna ripartire, perché le questioni aperte sono ancora tante – ricorda il Presidente di Anara, che prosegue –, rimane da definire, tra l’altro, la cadenza e il metodo per aggiornare le tariffe, non si può scendere ogni volta in trincea. Bisogna continuare a dialogare con il Ministero dei Trasporti. Vanno affrontati temi che qualificano il comparto, come la qualità dei servizi e la sicurezza, che alla fine sono rimasti marginali rispetto ai dati economici, ma che sono fondamentali. I controlli devono essere seri, accurati, deve passare la linea che la revisione dell’auto non è un’antipatica incombenza, ma un momento importante per la propria e l’altrui incolumità. Per fare questo non basta una campagna di sensibilizzazione dei cittadini, è necessario portare il livello delle revisioni a un grado soddisfacente. I nostri sono disposti a farlo. Chi ha compromesso l’immagine del servizio è chi opera ai margini, chi da un’occhiata alla macchina – quando lo fa – revisionando solo il libretto. Questo non è più tollerabile, è pericoloso e danneggia tutto il settore”. Servirebbero più controlli. Da parte del Ministero. “Non ci siamo mai opposti – segnala Landini –. La nostra linea è sempre stata questa: dateci quanto ci spetta e fate i controlli. Ma attenzione: controlli reali, perché la linea del Ministero è quella di compiere controlli “da remoto”, in via telematica. E i costi ancora una volta gravano sulle officine”. Il riferimento al sistema ‘MctcNet2’ è chiaro. Si tratta di un sistema informatico di cui si dovranno dotare tutti i Centri, che permette, tra l’altro, la procedura di riconoscimento automatico della targa. Non è ancora obbligatorio ma lo sarà tra poco. Il costo? Tra gli 8.000 e i 12.000 euro. L’uno, ovviamente. Il Presidente di Anara non si lascia sfuggire l’occasione per togliersi un sassolino dalla scarpa. Niente di proibito, niente che non abbia già detto o scritto, ad esempio nella lettera aperta al Ministro Bianchi. “Mi costringe ad aprire una pagina nera. Questo, come altri sistemi e attrezzature, è stato proposto da un tavolo tecnico composto dall’Amministrazione, dalle Associazioni di categoria, e dai tecnici delle case produttrici di attrezzature e sistemi, quelli stessi che poi vengono venduti ai centri. A monte di questo noi avevamo chiesto un tavolo politico per stabilire a priori quali soluzioni adottare, visto che alla fine le spese ricadono sui cittadini. Visto che non siamo stati ascoltati né su questo punto, né sulla correzione delle tariffe, dal 2006 ci siamo rifiutati di partecipare al tavolo per protesta”. Nei Centri di revisione le decisioni del tavolo tecnico sono piuttosto note. Come ad esempio quella che li ha obbligati a dotarsi di un ponte sollevatore per motoveicoli. Un obbligo che si esauriva nel possesso, non nell’utilizzo. Oppure quell’altra che richiamava la necessità di dotarsi di ‘stazione barometrica’, o quella che ha imposto inutili ventilatori per il raffreddamento dei motocicli durante la prova, miglioria che si è tradotta in nuvole di polveri sottili nell’area circostante. “E poi ci chiedono perché abbiamo lottato per innalzare le tariffe. Tra gli acquisti inutili e l’inflazione, se non fosse stato concesso l’adeguamento, l’unica soluzione era quella di dire: metà tariffa? Bene, metà revisione. Ma noi abbiamo a cuore la sicurezza dei cittadini” conclude Tiziana Angelozzi, responsabile nazionale Anara.
Appalti più garantiti per le imprese edili artigiane
Nuove regole per gli appalti. Sono quelle contenute nel secondo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici messo a punto dal Ministero delle Infrastrutture, che apporta correzioni sostanziali a quello varato appena un anno fa. Frenata la trattativa privata – in due casi proprio cancellata –, pugno di ferro contro l’impiego del lavoro nero, stop agli arbitrati d’oro, azzeramento del contratto di appalto per frodi verso la stazione appaltante (Amministrazione Pubblica) o per violazione delle norme sulla sicurezza nei cantieri. Si tratta solo di alcuni dei paletti posti dal Ministro Di Pietro a correzione e integrazione del Codice, che, come ha sottolineato “introducono importanti elementi di trasparenza e efficienza nel settore degli appalti”. “Dall’esame che abbiamo fatto a caldo, il Codice contiene diversi punti che riguardano il lavoro degli imprenditori artigiani dell’edilizia. Condividiamo lo spirito del documento: l’intenzione di dare al settore maggior organicità, trasparenza, definendo un corpo normativo organico e stabile, che si completerà in autunno con l’adozione del Regolamento attuativo. Non possiamo esimerci, però, dal rilevare luci e ombre”. Così commenta il Presidente di Anaepa Confartigianato Arnaldo Redaelli. La partita centrale, la questione più grossa, quella che coinvolge maggiormente gli artigiani, è quella relativa ai subappalti. Che cambiano radicalmente, dando maggiori garanzie a subappaltatori e cottimisti. “Per le nostre imprese, questo è un punto nodale, per l’ANAEPA è il punto di arrivo di una battaglia durata anni. Le nostre aziende – prosegue Stefano Bastianoni Segretario Nazionale di Anaepa – sono perlopiù esecutrici, quelle che materialmente realizzano i lavori. In genere l’appaltatore assume l’incarico e poi subappalta il lavoro alle piccole imprese artigiane. Fino a oggi l’appaltatore poteva incamerare i soldi degli stati di avanzamento dalla stazione appaltante, decidendo in piena libertà i tempi con cui pagare le imprese artigiane esecutrici. Una spada di Damocle sospesa in continuazione sopra le nostre aziende. Da oggi non è più così”. E’ previsto, infatti, un blocco dei pagamenti a quell’appaltatore che non dimostra di aver retribuito le aziende subappaltanti. Secondo il “Codice Di Pietro” l’appaltatore deve produrre alla Pubblica Amministrazione le fatture degli artigiani quietanzate. Se non lo fa scatta il blocco delle ulteriori tranche di pagamenti. Nel documento è contenuta un’altra norma almeno altrettanto importante che tende a riequilibrare, come la precedente, i rapporti tra appaltatore e subappaltare riconducendoli a un grado di maggiore collaborazione e corresponsabilità. Posta in gioco: la sicurezza nei cantieri. In sintesi, questa la misura contenuta nel documento. Il pagamento degli oneri della sicurezza al subappaltatore deve avvenire senza ribasso e sotto la sorveglianza della pubblica amministrazione. Scatta la responsabilità in solido tra appaltatore e subappaltatore sul rispetto delle norme di sicurezza. “Gli oneri sulla sicurezza era una di quelle voci che spesso diveniva ‘discrezionale’. Oggetto di tagli e ridimensionamenti, sempre verso il basso. Da ora devono essere corrisposti al subappaltatore per intero e pure certificati. Ma non basta, c’è un altro elemento. Adesso l’appaltatore è solidalmente corresponsabile con il subappaltatore negli adempimenti relativi agli obblighi sulla sicurezza. Non si sentiranno più frasi del genere ‘ti ho affidato il lavoro e ora è un problema tuo’. No, l’appaltatore adesso deve vigilare perché il subappaltatore ottemperi a tutti gli obblighi di sicurezza. E deve farlo anche con attenzione, visto che è corresponsabile, in solido”. Il tema della sicurezza nei cantieri è un tema ovviamente caro a Confartigianato, e non si riduce a un commento, pur positivo, alle novità contenute nel Codice dei Contratti. “Ogni incidente è uno di troppo – ricorda il Presidente di Anaepa Radaelli –. Bisogna garantire di più le maestranze, anche se và riconosciuto che la maggior parte degli incidenti in cui incappano, non avvengono nei cantieri, ma sulle strade che li portano al lavoro. Con la ripresa dei lavori parlamentari in autunno, presenteremo insieme a CNA una proposta di legge per regolare l’accesso alla professione di costruttore edile che oggi avviene in via amministrativa secondo un iter automatico. Un accesso più semplicistico che altro, fatto di carte e timbri, che prescinde dalla necessaria professionalità”. C’è poi la questione relativa al Durc (Documento unico di regolarità contributiva), inserita nel pacchetto tra le norme per contrastare il lavoro nero. “In realtà – sottolinea Bastianoni – è una partita rinviata a questo autunno, al varo del Regolamento di attuazione del Codice. Si dice, che il nuovo Durc che le Casse Edili dovrebbero produrre, dovrà contenere anche la verifica della congruità della manodopera relativa al cantiere. Quella sugli indici di congruità era una norma già prevista dalla finanziaria, che abbiamo vivacemente contestato, ritenendola più ideologica che altro. Ci sembra più che difficile stabilire a priori quanta manodopera debba essere impiegata in un dato lavoro. Ogni azienda ha le sue modalità di esecuzione, tecniche, strumentali. E’ una forzatura. Ma questo non è previsto nel Decreto , richiama una norma che è già legge in quanto prevista dalla finanziaria. Il Governo aveva dato sei mesi perché questa norma diventasse legge. Doveva avvenire a giugno. A luglio il Decreto non era ancora uscito quindi questa disposizione, che prevede che nel Durc sia compresa la verifica della congruità della manodopera, è ancora sospesa”. Forse le battaglie di Confartigianato su questa partita possono aver portato il Ministero del lavoro a compiere ulteriori riflessioni? “Direi di si – conclude il Presidente Redaelli – . A suo tempo noi non abbiamo sottoscritto l’avviso comune che ANCE, altre organizzazioni e sindacati, avevano sottoposto al Ministro Bersani, proponendo dei valori minimi di congruità. Ci siamo opposti al principio. Lo ha fatto soprattutto il Presidente Guerrini, che l’ha trasformata in una battaglia nazionale. Evidentemente abbiamo fatto bene, perché anche il Ministro non ha percorso quella strada, sarebbe stato facile, aveva solo la nostra di opposizione, ed ha ritenuto di valutare ulteriormente la materia in maniera più allargata”.
Del Boca Riduzione costi carburante
Confartigianato Trasporti chiede la riduzione dei costi dei carburanti ed in modo particolare del gasolio
Manca la corrente? Risarciti consumatori e aziende
Elettricità, cambiano le regole: in caso di blackout l’azienda fornitrice di corrente elettrica è tenuta a risarcire il cliente. L’ha stabilito l’Autorità per l’energia elettrica e il gas con una delibera che parla chiaro: dal 1° luglio 2009 rimborso automatico dai 30 ai 300 euro per le utenze domestiche e fino a 6.000 euro per le aziende. Questo, ogni volta che l’interruzione supera un certo tempo, denominato ‘standard’. Lo standard non è un valore assoluto, come un minuto o un’ora, ma relativo: cambia, quando si verificano alcune condizioni. Per le interruzioni senza preavviso il tempo standard è definito in base alla dimensione del territorio. In caso di grandi città (quelle con più di 50.000 abitanti) devono passare 8 ore senza luce prima di aver diritto al rimborso. Se si tratta di cittadine (tra i 5.000 e i 50.000 abitanti) le ore salgono a 12 ore, valore che cresce ulteriormente per paesi e aree rurali (meno di 5.000 abitanti): 16 ore. In questa prima fascia nessuna differenza tra famiglie e imprese connesse in bassa tensione, a 220 volt. Ma se l’azienda è alimentata dalla media tensione ecco che lo standard si riduce. I tempi dimezzano: 4, 6 e 8 ore. Se le interruzioni sono state annunciate, dovranno passare 8 ore per aver diritto al risarcimento, senza alcuna differenza tra fasce di utenti. “E’ un primo passo, significativo, ma ci aspettavamo qualcosa in più – afferma Daniela Rader, Delegata della Presidenza confederale al settore Ambiente ed Energia –. I tempi deliberati sono ancora alti, andrebbero dimezzati. Questa era la nostra richiesta. Si rischia di fare una norma di principio molto utile, ma nei fatti poco incisiva. La qualità della rete elettrica italiana varia molto a seconda della geografia, è capillare al nord, meno ‘magliata’ al centro, ancor meno al sud, dove le cabine di trasformazione in bassa tensione sono poche, fatto che rende più lenti e difficoltosi gli interventi di ripristino. Al nord, in Piemonte, Lombardia, Veneto, dove si concentra il 60-70% dell’impresa artigiana e manifatturiera, la rete ha altre caratteristiche, è più strutturata. Questo rende possibile una più rapida risoluzione dei problemi”. La proposta di Confartigianato all’Authority prevedeva – ma sulla questione non è stata detta ancora l’ultima parola, a luglio 2008 l’Autorità sottoporrà, infatti, nuovamente a verifica il progetto – la suddivisione dell’Italia in tre fasce geografiche con tre limiti diversi del tempo ‘standard’. “Tutti molto più bassi. Il valore attuale è quello che avevamo richiesto per il sud. Per il nord Italia doveva essere inferiore del 50%, e del 30% nelle regioni del centro”, ricorda Daniela Rader. E l’entità dei rimborsi? L’Autorità così ha deciso: superato il tempo ‘standard’, alle famiglie trenta euro. E se la corrente tarda a tornare, scattano 15 euro ogni 4 ore, fino a un massimo di 300 euro. Un po’ più articolate le penalità quando ad essere colpite dal blackout sono le aziende. Fino a 100 kW di contratto, 150 euro, più ulteriori 75 euro ogni 4 ore, fino a un massimo di 1.000 euro. Se i Kilowatt superano i 100, il fornitore di energia è tenuto a rimborsare 2 euro ogni kW, più un euro a kW ogni ulteriori 4 ore, fino a un massimo di 3.000 euro. Al vertice dei rimborsi le aziende allacciate in media tensione con potenza superiore a 100 kW. Sono le stesse per le quali il tempo standard è dimezzato: 1,5 euro ogni kW, più 0,75 a kW ogni due ore, fino a un tetto di 6.000 euro. La delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, non lascia nulla al caso e fissa anche le modalità e i tempi dei rimborsi, che saranno automatici, corrisposti come detrazioni nella prima bolletta emessa a 60 giorni dall’interruzione. Con un’eccezione. Se il blackout colpisce più di due milioni di utenti, il termine lievita fino a 210 giorni. Se per qualche disguido la bolletta non recasse traccia del bonus, l’utente può farne richiesta entro sei mesi, e l’azienda ha l’obbligo di versarlo entro 90 giorni, o di motivare il rifiuto. Un bel colpo per famiglie e aziende che finalmente vedono riconosciuto il diritto di veder risarciti i disagi, o i danni, causati dalle interruzioni di corrente. La delibera dell’Authority, non può limitare il numero dei disservizi, ma sicuramente ridurne la durata: più a lungo manca la luce, più l’impresa di distribuzione è tenuta a pagare. Ma questo è vero fino a un certo punto. Per alcuni casi che sfuggono alla norma, come ad esempio fenomeni meteorologici avversi che si protraggono per molto tempo e che portano con sé picchi eccezionali di interruzioni, è stato istituito un fondo di solidarietà: il “Fondo eventi eccezionali”. Il fondo è alimentato in massima parte dagli operatori di vendita e di trasmissione, e in forma di mutuo e generalizzato soccorso ai danneggiati, dalla globalità dei consumatori, che ogni anno verseranno 0.35 euro, se famiglie, 1 euro se piccoli consumatori, 10 euro se imprese. I tempi di attuazione della riforma? Dal 1° luglio 2009, al 1° gennaio 2013 a seconda del numero delle utenze raggiunte dall’azienda di distribuzione. Partono i grandi, quelli oltre le 100.000 utenze, chiudono i piccoli quelli al di sotto delle 5.000 utenze. “Tempi molto prudenti anche nell’applicazione della delibera. Si poteva partire subito. Già dal primo luglio”, conclude Daniela Rader.
Il “bello” della medicina estetica
Un’occasione di incontro e confronto tra medici, operatori ed esponenti accademici della Medicina Estetica. Questo è il proposito del Forum nazionale di Medicina Estetica previsto ad Abano Terme il 15 e 16 settembre. Una serie di incontri e dibattiti, di approfondimenti, di esperienze pratiche ed aggiornamento in un campo medico, quello estetico, che continua a svilupparsi e a rinnovarsi a ritmi sempre più vertiginosi. L’evento, voluto ed organizzato dall’AIME, l’Associazione Italiana Medicina Estetica, sarà articolato in due sessioni, l’una riservata ai medici, l’altra dedicata alle estetiste, professionalità sempre più preparate e qualificate. Due itinerari separati, ma che convergeranno al termine di ogni incontro della due giorni di Abano. Avvicinando così i medici alle problematiche prettamente operative delle estetiste e queste ultime ai fondamenti della medicina estetica. Un’opportunità formativa importante e qualificante, un’occasione per sviluppare un settore già di per sé in continua crescita. Il tutto concentrando l’attenzione sui tre grandi argomenti del Forum: i Filler, le sostanze riempitive nella chirurgia estetica, la Tossina Botulinica e la Pannicolopatia, meglio con uscita con il nome di cellulite.
Buone notizie per gli artigiani: si lavora un anno in più
“Non ci sono le condizioni per sottoscrivere il Protocollo sul welfare”. Questa in estrema sintesi la posizione indicata dal Presidente di Confartigianato Guerrini, che rimanda l’accordo ‘inemendabile’ su lavoro e previdenza, del Ministro Damiano, a ulteriori valutazioni. “L’accordo – prosegue Guerrini – contiene aspetti interessanti sui capitoli riguardanti gli ammortizzatori sociali, la competitività, i giovani. Ma il nostro giudizio è decisamente negativo per le misure riguardanti le previdenza che, oltre a contenere inaccettabili discriminazioni tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, comporteranno un forte innalzamento della spesa pubblica”. La riforma della previdenza è senza dubbio il tema più avversato dell’intero protocollo, anche perché comporterà nel prossimo decennio una spesa aggiuntiva di dieci miliardi di euro. Risorse che andranno trovate all’interno del sistema previdenziale: al primo posto con la razionalizzazione degli Enti Previdenziali, che da sola dovrebbe portare al risparmio di 3.5 miliardi di euro. Su questo punto il protocollo non sembra particolarmente ottimista. Già prevista una rete di sicurezza, se risparmi e ottimizzazioni non fossero sufficienti a raggiungere l’obiettivo. In tal caso – nel 2011 - scatterebbe una clausola di salvaguardia, praticamente una mannaia, che porterebbe all’aumento dello 0.09% della contribuzione per tutta la galassia del lavoro dipendente ed autonomo. Le stime complessive rendono il quadro ancora più fosco: secondo i calcoli nel prossimo decennio la spesa previdenziale crescerà di circa 29 miliardi di euro. Denaro interamente assorbito dalle pensioni, che non sarà così impiegato per sostenere le politiche attive del lavoro, lo sviluppo e la competitività economica del Paese. Ecco nel dettaglio cosa prevede il Protocollo del welfare in tema di pensioni. Dal 2008 i lavoratori con 58 anni di età (contro i 60 previsti dallo scalone Maroni) e con 35 anni di contributi potranno andare in pensione. Dal luglio 2009 scattano le quote: si potrà andare in pensione se la somma tra età anagrafica e contributi raggiunge quota 95. Ma gli anni di età dovranno essere almeno 59. Nel 2011 sale ancora di un anno l’età minima per lasciare il lavoro: il rapporto arriva e 96. Nel 2013, invece, bisognerà aver compiuto almeno 61 anni e raggiungere quota 97. Il Protocollo prevede anche l’innalzamento delle pensioni ‘basse’. Gli interventi saranno suddivisi in tre filoni. Il primo aggancia l'adeguamento delle pensioni minime al costo della vita; il secondo, di natura assistenziale, riguarda l’innalzamento delle pensioni sociali, degli assegni sociali e delle invalidità civili; il terzo prevede incrementi differenziati in base agli anni di contribuzione. Computati, però, in modo differente tra dipendenti e autonomi. Una delle discrepanze alla base dell’irrigidimento delle posizioni confederali. La spiegazione, secondo il Ministro Damiano è da attribuire alla diversa aliquota di contribuzione delle due tipologie di lavoratori: 33% per i lavoratori dipendenti e 20% (dal 2008) per i lavoratori autonomi. In base agli anni di contribuzione ciascun pensionato sarà collocato in una delle tre categorie, a ciascuna delle quali corrisponde un incremento economico diverso, più contenuto per la prima fascia, in cui rientreranno tutti i lavoratori che hanno i requisiti minimi, più elevato nelle altre due. L’aumento medio è di circa 26 euro per la prima fascia, 32 euro per la seconda, 39 per la terza. La modifica dello scalone lascia aperte diverse questioni, puntualmente segnalate da Confartigianato e condivise da CNA, Casartigiani, Confcommercio, Confesercenti. Una è di carattere tecnico: con il sistema delle quote che partirà nel 2009, l’età di contribuzione aumenterà in modo arbitrario a 36 anni, un elemento che non era mai entrato a far parte della tornata di concertazioni. Una seconda riguarda la differenza di età di pensionamento tra lavoratori autonomi e dipendenti: i secondi lavoreranno sempre un anno in meno dei primi. Con effetti singolari: dal 1° luglio viene in sostanza a cessare le pensione di anzianità per le lavoratrici artigiane, dal momento che il requisito anagrafico fra anzianità e vecchiaia viene a coincidere, e dal 2013 per gli artigiani uomini la differenza fra anzianità e vecchiaia si riduce ad appena due anni. Dagli aumenti di età previsti dagli scalini saranno esclusi solo i lavoratori impegnati nelle attività usuranti. Tra i quali come è noto, non rientrano i lavoratori autonomi, come autotrasportatori o panificatori. Per gli autonomi sarà insediata una Commissione composta da Governo e tutte le parti sociali, che rivedrà la lista delle professioni considerate usuranti, aggiornandola. Ma questo non ora. Più in là, forse in autunno.