16 Febbraio 2015, h. 16:40

Esito fallimentare per la normativa nazionale sui gas fluorurati: certificazioni al palo e costi alle stelle

L’ennesimo caso, che la dice lunga sulla capacità del legislatore nazionale di complicare la vita alle imprese, con norme complesse o completamente inutili, arriva dalla vicenda dei gas a effetto serra, i cosiddetti gas Fluorurati.

Questi gas, dannosi per l’ambiente, sono ancora largamente utilizzati negli impianti di refrigerazione e di condizionamento, ma saranno messi al bando entro il 2020. Nel frattempo, l’Europa ha definito una serie di azioni per evitare che impianti mal funzionanti o operatori non qualificati possano determinare il rilascio dei gas nell’atmosfera.

Un atto importante in questa direzione è stato compiuto 9 anni fa con l’emanazione del Regolamento europeo 842/2006 che ha previsto, tra l’altro, il controllo delle perdite e la certificazione delle persone e delle imprese che operano sugli impianti.

La norma è stata attuata, in Italia, nel 2012, dal Decreto del Presidente della Repubblica n.43. Il legislatore italiano, però, non si è limitato a recepire il regolamento così com’era, ma ne ha dato un’ interpretazione molto restrittiva, al punto che, nel nostro Paese, caso unico nell’Unione Europea, la generica certificazione è stata trasformata nell’obbligo di far riferimento ad un “Piano di Qualità” conforme alla norma tecnica UNI/ISO 10.005.

“L’Europa – spiega Luca Falco, Presidente di Confartigianato bruciatoristi – chiedeva semplicemente che l’azienda fosse in grado di gestire gli operai che operano con gas fluorurati, in sostanza chiedeva di gestire un processo. Un conto è gestire un processo, un conto è gestirlo secondo una normativa relativa alle certificazioni di qualità. Questo significa che un’impresa deve avere un manuale di qualità, strumenti certificati, che deve mantenere e rinnovare la certificazione. Tutto questo in realtà non serve alle imprese, non garantisce migliori interventi, non riduce le emissioni di F-gas, serve solo agli enti di formazione che lucrano dalle imprese”

Il costo per la certificazione oscilla tra 2-3000 euro, mentre il rinnovo annuale tra i 500 e gli 800 euro, a questo bisogna poi aggiungere il costo per il nuovo carico burocratico.

Che la disposizione non sta funzionando, lo dicono i numeri: a oggi si sono certificate il 66% delle persone e solo il 29% delle imprese si è iscritta al Registro F-gas. Insomma, un fallimento che oltretutto espone manutentori e installatori a pesanti sanzioni.

Ora, però, si è aperto uno spiraglio: l’Unione Europea ha redatto un nuovo regolamento, il n.517/2014, in vigore dal 1° gennaio, che ancora una volta ribadisce che queste certificazioni aggiuntive sono inutili. E Confartigianto, che questa estate ha mancato di un soffio l’obiettivo di cancellare questa stortura, e che grazie a una battaglia solitaria, è riuscita a ottenere il dimezzamento delle tariffe degli enti certificatori, è pronta ad alzare nuovamente la voce.

Lo annuncia Luca Falco, che sottolinea: “Con il nostro Ufficio Ambiente stiamo lavorando in stretto contatto con le categorie per  far sì che questa volta venga scritto un regolamento, non a misura di impresa, ma a misura di Europa.  Perché siamo stufi di sentire dire: “è l’Europa  che ce lo chiede”. Perché l’Europa non ci chiede le assurdità che riescono a inventarsi i nostri legislatori”.

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