13 Ottobre 2017, h. 14:44

ALIMENTAZIONE – Sì con riserva a obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione

Da quando è entrato in applicazione il Regolamento UE 1169/2011, riguardante l’etichettatura degli alimenti, non è più possibile capire chi produce ciò che si acquista, poiché è obbligatorio indicare sulla confezione soltanto il nominativo e l’indirizzo della sede legale dell’operatore responsabile che è quello con il cui nome o ragione sociale è commercializzato il prodotto o l’importatore in UE nel caso il prodotto provenga da paesi extra UE.
Ma questo operatore potrebbe anche non essere il produttore e, nel caso invece lo fosse, la sede legale potrebbe non coincidere con la sede delle stabilimento di produzione.
Ecco perché, sotto la spinta delle associazioni imprenditoriali e dei consumatori, è stato varato il Decreto legislativo recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale che reintroduce l’indicazione obbligatoria in etichetta della sede e dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento.
Ciò è motivato per garantire una corretta informazione al consumatore ed una immediata rintracciabilità dell’alimento da parte degli organi di controllo.
L’attuazione di tale criterio riguarderà esclusivamente le produzioni nazionali per il mercato interno e sarà pertanto garantito il rispetto del principio di mutuo riconoscimento, ovvero i prodotti realizzati in altri paesi dell’area comunitaria non saranno soggetti all’obbligo.
Per il Presidente di Confartigianato Alimentazione Massimo Rivoltini, la mancata estensione dell’obbligo agli altri paesi dell’Unione Europea determina una palese disparità di concorrenza, favorendo le imprese multinazionali, molto spesso proprietarie di marchi nazionali, in quanto questa tipologia di imprese preferisce produrre dove è meno costoso.
Il Presidente Rivoltini esprime comunque delle forti perplessità riguardo il poco tempo concesso, 6 mesi, per lo smaltimento delle etichette già predisposte e lamenta il fatto che gli imprenditori dovranno sostenere nuovi costi per far modificare gli imballi in modo da adeguarsi al provvedimento.
A parte queste ombre, soprattutto per le imprese più strutturate che, a causa della stagnazione dei consumi interni, debbono rivolgersi anche a mercati esteri, conclude Rivoltini, la valutazione in termini di principio è positiva, in quanto l’indicazione potrebbe aiutare il consumatore a scegliere consapevolmente un alimento rispetto a un altro, anche in considerazione del paese o della regione in cui è prodotto, sia per sostenere l’economia e l’occupazione locali, sia per contribuire ad un minore impatto ambientale dei prodotti.
Gli artigiani e le piccole imprese infatti di solito preferiscono utilizzare materie prime locali e metodi di produzione tipici (per sottolineare il legame con il territorio), offrendo, grazie ad una filiera più corta, maggiori garanzie di qualità, sicurezza, naturalità e valenza culturale ai consumatori.

rss