15 Dicembre 2017, h. 07:14

LAVORO – Cesare Fumagalli su ‘Libero’: ‘Tirocini, primo passo nel mondo del lavoro’

Oggi il quotidiano ‘Libero‘ pubblica un’intervista al Segretario Generale di Confartigianato Cesare Fumagalli nella quale si fa luce sul ruolo dei tirocini, i periodi di formazione, orientamento o riqualificazione all’interno delle imprese. Un’opportunità per i giovani di conoscere il mondo del lavoro. Per arrivare all’obiettivo finale: la costruzione di un vero sistema duale, dove si lavora e si studia al contempo.

Di seguito l’intervista di Cesare Fumagalli a ‘Libero’.

Il Segretario generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli ben conosce i suoi imprenditori. E ci assicura che se in una piccola o piccolissima azienda è anche più difficile per un giovane entrare a fare un tirocinio, chi riesce avrà un’opportunità non prevista dalle grandi aziende: l’assistenza diretta del titolare, che trasferirà conoscenze e competenze del mestiere.

Fumagalli, qual è il ruolo dei tirocini? Crede siano uno strumento utile per avvicinare i giovani al mondo del lavoro?

Naturalmente: rompono l’odiosa separazione tra lavorare e studiare, trentennale convinzione del Paese. Oggi serve al contrario un’estrema permeabilità tra formazione e mestieri e il tirocinio extracurricolare, in particolare, offre un inizio di famigliarità con il mondo del lavoro. L’obiettivo finale dovrebbe essere la costruzione di un vero sistema duale, dove si lavora e si studia al contempo. Il tempo della formazione una tantum è finito. Se pure se ne discute in continui convegni, si riscontra poi una concreta difficoltà che contrasta con questo giusto “mantra” della formazione permanente.

Colpa della burocrazia?

Le burocrazie fanno come sempre la loro parte, ma anche le famiglie fanno confusione. Faticano ancora a comprendere l’utilità di un periodo di lavoro, magari attraverso il tirocinio, lungo il percorso di studi, e non dopo.

Dice che c’è un pregiudizio nei confronti di piccole e piccolissime imprese come le vostre, da parte delle mamme e dei papà?

Come pure da parte dei ragazzi. Che per “sentito dire” hanno alte aspettative sulle multinazionali. Abbiamo lavoro da fare, per invertire questa comune credenza che finisce per far perdere reputazione al lavoro artigianale e anche alla manualità. I nostri media hanno lanciato migliaia di aspiranti chef e nessun cuoco. Dobbiamo imparare a saper raccontare i mestieri belli della nostra Italia.

Cosa si aspettano i datori di lavoro da un tirocinante?

Sarebbe sbagliato avere troppe aspettative. Per un vero apprendimento e per il trasferimento delle competenze penso che la formula più adatta sia l’apprendistato. Consente anche di collaudare il sapere acquisito tra i banchi. Un dato per tutti: più dell’80% dei contratti di apprendistato si trasformano, nel mondo dell’artigianato, in contratti a tempo indeterminato. Sono dati che entrano lentamente nelle statistiche e che le istituzioni faticano forse a riconoscere. I nostri artigiani sono però all’avanguardia anche nel tirocinio: sono stati tra i primi a utilizzarlo quando in alcuni territori di eccellenza le scuole e le imprese hanno iniziato a collaborare, con esperienze di scambio, ben prima delle norme sull’alternanza scuola-lavoro.

Oggi però esiste una nuova disciplina anche sul tirocinio, che è stata condivisa a maggio dalle Regioni. Dal suo punto di vista era necessario?

È corretto provare a riorganizzare i tirocini in modo più esteso. La rivendicazione dell’autonomia di ogni Regione purtroppo rischia di creare soltanto un problema per ragazzi e imprese, se ad oggi solo sette Regioni stanno attuando l’accordo. Confidiamo lo facciano presto anche le altre: l’esigenza da parte degli imprenditori di una organica disciplina sul territorio nazionale è facilmente comprensibile.

Quando il tirocinio è di qualità?

Nessuno è esente dal rischio abusi, ovviamente, ma un tirocinio in una piccola impresa ha la garanzia che il ragazzo non sia abbandonato a se stesso. Le nostre imprese hanno vincoli di mercato strettissimi: qualità e innovazione, creatività e gusto. Per questo, occorre manodopera e collaboratori formati, che si distinguano su tutti gli altri.

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