9 Aprile 2020, h. 20:49

ALIMENTAZIONE – Confartigianato scrive ai prefetti: “Liberiamo le colombe, facciamo lavorare le pasticcerie artigiane”

Confartigianato non si arrende e continua la propria battaglia contro la chiusura delle pasticcerie artigiane, rientrate tra le attività da sospendere per l’emergenza Covid-19 insieme a bar, gelaterie e pizzerie. Un blocco che non ha riguardato altre categorie commerciali, autorizzate a vendere quegli stessi prodotti, e che penalizza il 70% dell’intero comparto: 24mila imprese e 74mila addetti. Oggi, dopo i continui confronti con il Governo per una modifica giusta e necessaria per salvaguardare decine di migliaia di piccole imprese, Confartigianato ha lanciato la campagna Liberiamo le colombe, con centinaia di lettere inviate ai prefetti di tutta Italia, per chiedere l’immediata revoca della sospensione.
“Lo stop alla produzione e vendita delle pasticcerie rappresenta un’assurda discriminazione rispetto ai negozi e alla grande distribuzione, a cui è invece permessa la commercializzazione di prodotti dolciari – ha detto Massimo Rivoltini, presidente di Confartigianato Alimentazione – Noi artigiani siamo i primi a rispettare le regole per difendere la salute dei cittadini, ma non accettiamo un’interpretazione della norma che si traduce in una palese e assurda penalizzazione delle nostre produzioni a vantaggio di altre tipologie di prodotti di pasticceria. Così si colpiscono le nostre aziende e si nega libertà di scelta ai consumatori”.
Al danno economico per la devastante emergenza sanitaria, che l’Ufficio studi di Confartigianato ha stimato in 540 milioni di euro soltanto per i fatturati di aprile, si è aggiunta la beffa di aver buttato 112 milioni di euro di materie prime deperibili acquistate in vista di uno dei periodi di maggior lavoro di tutto l’anno: la Pasqua. Il conto finale rischia di essere devastante per una delle roccaforti dell’economia italiana. Per questo motivo, Confartigianato continua a battersi per chiedere di correggere questa interpretazione distorta del DPCM dell’11 marzo scorso, che ha chiuso un’attività piuttosto che un’altra soltanto sulla base del codice ATECO.

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